Frittata alle ortiche. La ricetta del perdono – Recensione

Una lettura breve, piacevole eppure intesa questa che ho appena concluso: Frittata alle ortiche. La ricetta del perdono di Roberta Marasco (Emma Books, 2015). Un’occasione che mi ha riportato alla mente un appunto preso qualche tempo fa: Si torna sempre dove si è stati felici.

Non so di preciso chi lo abbia detto, ma so che il ritorno di Giulia nella casa delle vacanze, tra le campagne piemontesi, ha a che fare con la felicità: Giulia sapeva che quella casa le avrebbe parlato del padre come nessun altro posto. Di quel padre che aveva un rapporto speciale con sua sorella maggiore, Elena, che se n’era andato senza salutarla e che adesso sembrava non mancarle.

«Da bambina» – racconta Giulia ad Alessio, suo grande amore dell’adolescenza – «ricordo che ero gelosa delle sue pazienti, perché potevano telefonare a qualunque ora e lui era sempre gentile e correva da loro se avevano bisogno, mentre noi dovevamo stare zitte e non disturbare. Lo so che mi voleva bene, ne sono sicura. Ma credo anche che fosse troppo egoista per amare davvero».

Gli uomini, i padri, fa dire Marasco a Enza, un’anziana del paese, amano pigramente, fin dove riescono a toccare: il loro amore è come una lampadina, non riesce a spingersi oltre il cerchio che proietta. Difficile dire, però, se lo facciano coscientemente o meno. Nella vita delle figlie, quando quel padre è vivo, quella assenza nella presenza sembra essere incolmabile, ingiustificabile, imperdonabile.

Eppure, Giulia, quando scopre l’assenza – reale, fisica – del padre, quando questa si palesa davanti col suo peso riesce a sentirne vivo il dolore: La sentì subito. La investì come un pugno allo stomaco, incredibilmente forte e viva. L’assenza. L’assenza del padre. All’improvviso le mancò il fiato, mentre un grumo di ingiustizia, di senso di colpa e di privazione le chiudeva la gola. Dove cazzo era finito? Dov’era andato? Com’era possibile che non fosse lì? Non riusciva a chiedersi altro. Non era neanche una domanda a ben vedere. Era un grido lamentoso, perché le sembrava ingiusto, quasi assurdo, come abbassare lo sguardo e non trovare più un braccio, o un piede. Una di quelle cose che non potevano essere, e invece era.

Sono le emozioni a dirci chi siamo, chi siamo stati e chi stiamo diventando: è grazie all’evoluzione della sua rabbia, al suo attraversare il dolore, la perdita, che Giulia può far pace non solo col suo passato ma, soprattutto, con se stessa. Un insegnamento che, quando era bambina, Giulia aveva ricevuto dal padre stesso: non puoi perdonare finché ti fa male.

Lella Esposito

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