I libri per l’estate di Biblon – pt.2

(foto di Enza Fagnano)

 

 

La seconda parte dei consigli letterari per l’estate (ma non solo) è in collaborazione con l’Associazione letteraria Nucleo Kubla Khan

I componenti del Nucleo abbiamo imparato a conoscerli durante questi anni, anche grazie alla rubrica di successo “I venerdì del Nucleo”. Abbiamo quindi chiesto ai componenti dell’associazione, scrittori, poeti e semplici lettori,  quali sono i libri fondamentali per superare questa ondata di caldo.
Ecco cosa ci hanno risposto:

 

Francesco Filice ci consiglia Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta (Adelphi) di R.M.Pirsig “Questo romanzo è una Grande Avventura, a cavallo di una motocicletta e della mente, è una visione variegata dell’America on the road, dal Minnesota al Pacifico, e un lucido, tortuoso viaggio iniziatico. Una mattina d’estate, il protagonista sale sulla sua vecchia, amata motocicletta, con il figlio undicenne sul sellino e accanto a lui un’altra moto con due amici. Parte per una vacanza con «più voglia di viaggiare che non di arrivare in un posto prestabilito». Ma fin dall’inizio tutto si mescola: il paesaggio, che muta di continuo dagli acquitrini alle praterie, ai boschi, ai canyons, i ricordi che dilagano nella mente, la rete tenace dei pensieri che si infittisce intorno al narratore. Per lui, viaggiare è un’occasione per sgombrare i canali della coscienza, «ormai ostruiti dalle macerie di pensieri divenuti stantii». E altri pensieri crescono come erbe dalla cronaca del viaggio: l’amico si ferma, ha un guasto, impreca, non sa cosa fare. E il narratore si chiede: qual è la differenza fra chi viaggia in motocicletta sapendo come la moto funziona e chi non lo sa? In che misura ci si deve occupare della manutenzione della propria motocicletta? Mentre guarda smaglianti prati blu di fiori di lino, gli si formula già una risposta: «Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore». Questo pensiero è la minuscola leva che servirà a sollevare altre domande subito incombenti: da che cosa nasce la tecnologia, perché provoca odio, perché è illusorio sfuggirle? Che cos’è la Qualità? Perché non possiamo vivere senza di essa? Come un metafisico selvaggio, come un lupo avvezzo a sfuggire alle trappole dei cacciatori, che in questo caso sono le parole stesse, il narratore avanza con la sua moto per strade deserte o affollate, seguito dal fantasma di Platone e Aristotele, e soprattutto dal «fantasma della razionalità», invisibile plasmatore della motocicletta e di tutto il nostro mondo. Ma nella sua ricerca una voce si incrocia con la sua, quella del suo Doppio, Fedro, che anni prima aveva pensato quelle stesse cose e, dietro di esse, aveva incontrato la follia. Tutti e due vogliono testardamente risalire a quel punto, oscuro e lontano, in cui «ragione e Qualità si sono staccate». Giunti a quel punto, apparirebbe evidente, luminoso, che «la vera motocicletta a cui state lavorando è una moto che si chiama voi stessi». Pubblicato nel 1974 negli Stati Uniti, prima opera di un autore sconosciuto, questo libro ha avuto subito un successo immenso (cinque ristampe nello stesso mese, quando apparve l’edizione tascabile), paragonabile soltanto a quello di Castaneda e di Tolkien. In breve è diventato un libro-simbolo, il romanzo di un «itinerario della mente» in cui molti si sono riconosciuti.”

 

Il complesso di Telemaco (Feltrinelli) di Massimo Recalcati.
“Edipo e Narciso sono due personaggi centrali del teatro freudiano. Il figlio-Edipo è quello che conosce il conflitto con il padre e l’impatto beneficamente traumatico della Legge sulla vita umana. Il figlio-Narciso resta invece fissato sterilmente alla sua immagine, in un mondo che sembra non ospitare più la differenza tra le generazioni. Le nuove generazioni appaiono sperdute tanto quanto i loro genitori. Questi non vogliono smettere di essere giovani, mentre i loro figli annaspano in un tempo senza orizzonte. Telemaco, il figlio di Ulisse, attende il ritorno del padre; prega affinché sia ristabilita nella sua casa invasa dai Proci la Legge della parola. In primo piano una domanda inedita di padre, una invocazione, una richiesta di testimonianza che mostri come si possa vivere con slancio e vitalità su questa terra. Il processo dell’ereditare, della filiazione simbolica, sembra venire meno e senza di esso non si dà possibilità di trasmissione del desiderio da una generazione all’altra e la vita umana appare priva di senso. Eppure è ancora possibile, nell’epoca della evaporazione del padre, un’eredità autenticamente generativa: Telemaco ci indica la nuova direzione verso cui guardare, perché Telemaco è la figura del giusto erede. Il suo è il compito che attende anche i nostri figli: come si diventa eredi giusti? E cosa davvero si eredita se un’eredità non è fatta né di geni né di beni, se non si eredita un regno?”

 

 

Stefano Luchetta (poeta) ci propone I quarantanove racconti di Ernest Hemingway (Mondadori) : “Accanto a un gruppo di storie che hanno per protagonista l’alter ego di Hemingway, Nick Adams, spiccano in questa raccolta alcuni racconti dall’architettura perfetta, fra cui “Le nevi del Kilimangiaro”, “La breve vita felice di Francis Macomber” e “Colline come elefanti bianchi”, nei quali risalta lo stile asciutto e rigoroso dello scrittore, capace di dare risonanza all’esperienza individuale senza perdere il contatto con gli elementi della realtà che la fondano. “I quarantanove racconti”, pubblicati nel 1938, sono stati considerati fin dal loro apparire una delle opere fondamentali di Ernest Hemingway, forse il punto più alto e rappresentativo della sua inconfondibile tecnica narrativa.

 

 

 

 

Il Grande Gastby (Einaudi) di Francis Scott Fitzgerald: 

Il romantico ed enigmatico Jay Gatsby organizza feste sontuose nella speranza di avvicinare la donna amata in gioventù, Daisy, che ha sposato un uomo ricco e rozzo. Ne diventerà l’amante, ma un incidente automobilistico darà una tragica svolta al loro amore. Una descrizione spietata e partecipe del mondo fastoso e frivolo degli anni Venti nelle pagine indimenticabili dello scrittore simbolo della “generazione perduta“.

 

 

 

 

 

 

Bernadette Perrone (lettrice) ci ricorda il Cesare Pavese de Il carcere (Einaudi): “Nel 1935 Cesare Pavese viene condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro per aver tentato di proteggere la donna amata, militante nel Pci. Il carcere, pubblicato solo nel 1948, nasce così da una storia di privata solitudine e riapre il problema del solipsismo intellettuale cui Pavese riconobbe, scrivendo dieci anni dopo La casa in collina, di essere ancora legato. L’esilio forzato in un luogo tanto diverso e lontano dal suo mondo piemontese d’origine è metà condanna metà alibi del suo volersi fuori dal mondo, del suo guardare la vita “come dalla finestra del carcere”. L’ingegnere, protagonista del romanzo, è un intellettuale che imputa a sé stesso più che al mondo la responsabilità della propria situazione, rifiutando di riconoscervi delle giustificazioni politiche in un periodo in cui maggiore era il consenso degli italiani al regime fascista, tra la guerra d’Abissinia e quella di Spagna. Il confino diventa atteggiamento, presa di posizione, un modo d’essere che Pavese aveva sempre considerato come costitutivo e insieme limitativo della propria esperienza.

 

Il cavallo di Troia di Christopher Morley

La guerra di Troia veduta da un americano. Il campo di battaglia è come un campo di calcio; i guerrieri la sera fanno la doccia e discorrono con l’allenatore; i tassi arrancano alla volta del locale notturno dove suona l’orchestra dei Mymiron Boys…

 

 

 

 

 

 

 

Luigi De Bartolo (scrittore) sceglie Opinioni di un clown (Mondadori) di Heinrich Boll: 

Con pantomime teatrali, con telefonate e incontri, un clown lancia accuse feroci all’opulenta società della Germania occidentale, che sembra aver smarrito ogni valore. Un libro del ’63, che suscitò polemiche e dibattiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 La versione di Barney (Adelphi) di Mordecai Richler

Approdato a una tarda, linguacciuta, rissosa età, Barney Panofsky impugna la penna per difendersi dall’accusa di omicidio, e da altre calunnie non meno incresciose, diffuse dal suo arcinemico Terry McIver. Così, fra quattro dita di whisky e una boccata di Montecristo, Barney ripercorre la vita allegramente dissipata e profondamente scorretta che dal quartiere ebraico di Montreal lo ha portato nella Parigi dei primi anni Cinquanta e poi di nuovo in Canada, a trasformare le idee rastrellate nella giovinezza in “sitcom” decisamente popolari e altrettanto redditizie.

 

 

 

 

Nazareno Loise (poeta e sottocuoco) ci propone Una storia semplice (Adelphi) di Leonardo Sciascia.

“Una storia semplice” è una storia complicatissima, un giallo siciliano, con sfondo di mafia e droga. Eppure mai – ed è un vero tour de force – l’autore si trova costretto a nominare sia l’una sia l’altra parola. Tutto comincia con una telefonata alla polizia, con un messaggio troncato, con un apparente suicidio. E subito, come se assistessimo alla crescita accelerata di un fiore, la storia si espande, si dilata, si aggroviglia, senza lasciarci neppure l’opportunità di riflettere. Davanti alla proliferazione dei fatti, non solo noi lettori ma anche l’unico personaggio che nel romanzo ricerca la verità, un brigadiere, siamo chiamati a far agire nel tempo minimo i nostri riflessi – un tempo che può ridursi, come in una memorabile scena del romanzo, a una frazione di secondo. È forse questo l’estremo azzardo concesso a chi vuole “ancora una volta scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia”.

Il manoscritto di Brodie (Adelphi) di Jorge Luis Borges

“A setttant’anni Borges decide che è giunto il momento di cimentarsi nella scrittura di quello che egli definisce “racconti diretti”. Nasce così questo libro che, pubblicato nel 1970, si presenta come l’unico integralmente narrativo. Molti racconti, ambientati nel mondo della periferia di Buenos Aires, rievocano la società violenta, retta da precisi codici, che aveva già fatto da sfondo alle prime opere: emerge in tal modo l’altro volto di Borges, contrassegnato dalla nostalgia dell’azione, che accompagna costantemente la costruzione di avventure della mente.”

 

 

 

 

 

 

Pietropoalo Morrone (scrittore)  ci fa accompagnare da Thomas Bernhard e il suo Camminare (Adelphi)

«Mentre io, prima che Karrer impazzisse, camminavo con Oehler solo di mercoledì, ora, dopo che Karrer è impazzito, cammino con Oehler anche di lunedì … ho salvato Oehler dall’orrore … perché non c’è nulla di più orribile del dover camminare da soli di lunedì»: bastano poche frasi, ad apertura di pagina, a immergerci nel flusso ipnotico della scrittura di Thomas Bernhard. Ma perché, e quando, Karrer è impazzito? Forse, dice Oehler (che come molti personaggi di Bernhard è contagiato da una «micidiale tendenza al soliloquio» e al «meditare sino allo sfinimento su cose insolubili»), c’entra il suicidio dell’amico Hollensteiner – il chimico annientato dalla «bassezza» dello Stato austriaco, che «nulla odia più profondamente di chi è fuori dall’ordinario». O forse l’aver esercitato sino in fondo «l’arte di esistere contro i fatti» – di esistere, cioè, «contro ciò che è insopportabile e contro ciò che è orribile». Al momento in cui Karrer ha varcato «il confine della pazzia definitiva», Oehler ha assistito personalmente: ed è, quella che racconta con precisi, ossessivi, grotteschi dettagli, una sequenza di irresistibile e insieme tragica comicità che fa pensare a certe pagine di Kafka. In Camminare la prosa labirintica di Bernhard ha toccato una vetta di corrosiva perfezione. Traduzione di Giovanna Agabio.

I versi della vita (Meridiani Mondadori) di Giovanni Giudici

Il volume riprende l’intero “corpus” poetico di Giudici, costituito dalle dodici raccolte da lui pubblicate, e arricchito dalla riproduzione in appendice alle sue prime “plaquettes”, nonché da una cospicua sezione di poesie inedite.

 

 

 

 

 

 

 

 

Francesco Principe (narratore) ci consiglia un capolavoro della narrativa antimilitarista: Mattatoio n. 5  (Feltrinelli) di Kurt Vonnegut

“Mattatoio n. 5 è la storia semiseria di Billy Pilgrim, un americano medio, un uomo qualunque con però l’eccezionale capacità di passare da una dimensione spaziale all’altra. Senza essere in grado di impedire la cosa, può trovarsi ora a Dresda durante la Seconda guerra mondiale, ora nello zoo fantascientifico di Tralfamadore dove è esposto come esemplare della razza umana. Ma Mattatoio n. 5 è anche uno dei più importanti libri contro la guerra che siano mai stati scritti, autentica pietra miliare della letteratura antimilitarista. Kurt Vonnegut trae ispirazione dalla sua personale esperienza bellica quando, fatto prigioniero dai nazisti, ebbe la ventura di assistere alla distruzione di Dresda, la Firenze del Nord, da parte degli Alleati. Fu testimone di uno dei più terribili bombardamenti della storia, sopravvivendo grazie al suo osservatorio molto particolare: una grotta scavata nella roccia sotto un mattatoio, adibita a deposito di carni, nelle viscere della città. Quando alla fine uscì allo scoperto, al posto di una delle più belle città del mondo c’era un’ondulata distesa di macerie sopra un numero incalcolabile di morti. L’unico modo per narrare questa terribile esperienza, di per sé assolutamente indicibile, pare allora per Vonnegut quello visionario e di una comicità paradossale, che sa affiancare con maestria sorriso e dolore, grottesco e leggerezza della fantasia.”

 

Il primo Dio (Adelphi) di Emanuel Carnevali.

“Il primo Dio” di Emanuel Carnevali, è un documento universale che racconta la vita, dall’infanzia alla fuga in una Terra Promessa, fino all’incanto tradito e al ritorno in Italia, di un giovanissimo ragazzo che all?età di sedici anni arriva in America per sfuggire alle incomprensioni della sua famiglia, in un’epoca che sembra così lontana da oggi ma che è vicina e tangibile nelle parole del giovane Emanuel, che ci consegna il romanzo autobiografico di un outsider, un randagio. Solo attraverso una visione caleidoscopica di tutti questi elementi è possibile comprendere appieno l’uomo e lo scrittore Carnevali: il bambino succube di un padre brutale, figura che lo perseguiterà tutta la vita, l’adolescente inquieto che viene espulso dal collegio, l’esiliato costretto dalla fame ai lavori più umili, lo scrittore che in pochi anni impara una nuova lingua entrando in contatto con i membri più importanti dell’avanguardia letteraria americana, l’ateo che non crede in Dio ma ama Cristo, il marito, il malato, l’incompreso. Più di ogni altra cosa, infatti, Emanuel Carnevali fu un uomo solo, black poet, ultimo dei maledetti.

 

 

 

Andrea Russo (scrittore) consiglia Le braci (Adelphi) di Sandor Marai

Dopo quarantun anni, due uomini, che da giovani sono stati inseparabili, tornano a incontrarsi in un castello ai piedi dei Carpazi. Uno ha passato quei decenni in Estremo Oriente, l’altro non si è mosso dalla sua proprietà. Ma entrambi hanno vissuto in attesa di quel momento. Null’altro contava per loro. Perché? Perché condividono un segreto che possiede una forza singolare: “una forza che brucia il tessuto della vita come una radiazione maligna, ma al tempo stesso dà calore alla vita e la mantiene in tensione”. Tutto converge verso un “duello senza spade” ma ben più crudele. Tra loro, nell’ombra il fantasma di una donna.

 

 

 

 

Tropico del Cancro (Feltrinelli) di Henry Miller

“Nell’incantata, effervescente Parigi degli anni trenta, precisamente nel 1934, viene pubblicato da un piccolo editore un libro intitolato “Tropico del Cancro”: sarà la miccia di uno scandalo morale e di un’insurrezione letteraria che attraverserà tutto il secolo. Negli ambienti più conservatori si parla di pornografia, nei caffè avanguardisti si inneggia alla rivoluzione: la verità è che “Tropico del Cancro” è uno dei grandi capolavori della letteratura novecentesca, un romanzo autobiografico insostituibile per la forza e la fluidità del suo linguaggio, la potenza del suo immaginario, la vivida resa degli ambienti e dei caratteri. È lo stesso Miller a parlarci di sé in prima persona, a raccontarci dei suoi amici, dei miseri eppure vibranti quartieri che attraversano e vivono. Di ubriachezza in ubriachezza, di donna in donna, di rissa in rissa, di illuminazione in illuminazione. Con una scrittura travolgente e fluviale, che trasfigura ogni evento delle piccole, eccezionali vite che sono le vite di tutti noi, facendole diventare un’epica nuova, l’epica dell’essere umani, un’epica che cantiamo tutti ritrovando in noi la sete di libertà di questo scrittore. Con contributi di Mario Praz.”

 

Vincenzo Montisano (scrittore) I segreti erotici dei grandi chef di Irvine Welsh

“Due giovani protagonisti, o per meglio dire due antagonisti, si fronteggiano nella Edimburgo del nuovo romanzo di Irvine Welsh. A legare in maniera indissolubile i destini di Danny Skinner e Brian Kibby è una catena di segreti custoditi gelosamente da molti anni, in cui si mescolano l’epoca d’oro del punk e l’alta cucina internazionale. Danny Skinner è un giovane edonista che lavora lo stretto indispensabile e preferisce di gran lunga divertirsi. L’ha cresciuto la madre, un’ex punk, e a Danny il fatto di non aver mai conosciuto suo padre pare motivo sufficiente per vivere alla giornata, il che si traduce anche nell’incapacità cronica di portare avanti una relazione amorosa matura, nonostante materia prima e sentimento – da Kay a Sbannon a Dorothy – non manchino. Brian Kibby rappresenta invece tutto ciò che Danny Skinner non è (e si guarda bene dall’essere): un bravo ragazzo di buona famiglia, serio, che non ha mai avuto una ragazza che è una. Un tipo mortalmente noioso, insomma. Per di più, da bravo figlio qual è, Brian si prende cura del padre in fin di vita, una situazione che acuisce in Danny il bisogno di sapere di chi è figlio. L’unica pista lo porta nel dorato mondo degli chef di grido: prima in città e poi nella California dei suoi sogni. Il tutto senza smettere di pensare ossessivamente a Brian, il quale nel frattempo ha contratto una malattia misteriosa e molto debilitante…”

 

Una cosa divertente che non farò mai più (Minimum Fax) di David Foster Wallace

“A un giovane scrittore viene commissionato il reportage di una settimana in crociera extralusso nei Caraibi. Lo scrittore è David Foster Wallace e la permanenza sulla “meganave” si trasforma in un’esilarante cronaca, ma anche in un acido ritratto dell’americano in vacanza, delle sue abitudini ottuse, della sua eleganza pacchiana e – naturalmente – della sua ricerca di un forzato e artificiale relax. La critica pungente, e insieme scanzonata, di questi “cittadini americani adulti e ricchi” è accompagnata da una sferzante ironia e da uno stile pirotecnico e piacevolmente dispersivo che confermano il talento di un autore, come è stato detto, “capace di scrivere veramente di qualsiasi cosa”.

 

 

 

 

Andrea Napoli (poeta) Ritratto dell’artista da cucciolo (Einaudi) di Dylan Thomas

“Dylan Thomas fu anche prosatore: e se la diffusa idea che lirica e narrativa siano non solo due generi, ma quasi due categorie mentali inconciliabili, porterebbe forse a sospettare in questi racconti una vena elegiaca o intimista, in realtà si incontra un linguaggio denso di cose, persone, eventi. Un’autobiografia, due racconti, un romanzo incompiuto: in ognuna delle opere che compongono questa raccolta, Thomas narra delle vere e proprie avventure. Grottesche, pietose, sempre tese sul filo che conduce dalla quotidianità alla favola: storie a volte ovvie, ma raccontate come se fossero i capitoli di un gioco meraviglioso. “

 

 

 

Un uomo che dorme (Quodlibet) di Georges Perec

“Terzo romanzo di Georges Perec, “Un uomo che dorme” è la storia di uno studente che la mattina dell’esame, invece di alzarsi, lascia suonare la sveglia e richiude gli occhi. Segue il racconto della sua vita ordinaria, in cui giorno dopo giorno si educa all’indifferenza per tutto: non voler più niente, vagare, dormire, perdere tempo; tenersi lontano da ogni progetto e da ogni smania; essere senza desideri, senza risentimenti, senza ribellione; leggere “le Monde” dall’inizio alla fine, senza saltare una riga, annunci matrimoniali e necrologi compresi. “Un uomo che dorme” è un romanzo in cui chiunque, leggendolo, riconosce quell’oscuro desiderio di ritirarsi dal mondo senza scomparire del tutto, diventare indifferente a ogni cosa, un fantasma trasparente che, come il protagonista del libro, vaga per Parigi senza aprire bocca, senza desiderare più nulla, tra la folla dei Grands Boulevards, per i caffè, le panchine dei giardinetti, i lungosenna, i musei, i monumenti, sonnambulo turista in casa propria.”

 

 

E chiudiamo questa lunga carrellata di consigli con due Bonus Track:

La disegnatrice Elisa Trapuzzano ci consiglia  Il cuore di un’ape (Einaudi) di Helen Jukes e Il ciclope (Feltrinelli) di Paolo Rumiz; mentre la lettrice di Biblon Margaux ci consiglia Post scriptum (ES) di Florence Dugas e I figli della mezzanotte (Mondadori) di Salman Rushdie.

 

Bene, penso che sia abbastanza!

Buone letture!

 

Giovanni Canadè

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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