I venerdì del Nucleo Kubla Khan – T.S. Eliot

Secondo appuntamento con la rubrica #ivenerdìdelnucleo in collaborazione con l’Associazione Culturale Kubla Khan, che ogni giovedì sera si riunisce nella lettura di brani scelti. Biblon ha deciso di selezionare per voi le migliori letture e proporvele, appunto, il giorno dopo. 
La rubrica è a cura di Nazareno Loise.

 

 

 

Gli uomini vuoti è un poemetto in cinque sezioni composto fra il 1923 e il 1925, pubblicato in versioni provvisorie in varie riviste, quindi nei Poems del 1925. A detta del poeta, il titolo deriva dalla fusione di The Hollow Land (1856), un romanzo giovanile di William Morris, e The Broken Men (1902), una poesia di Rudyard Kipling (ma l’espressione è già nel Giulio Cesare di Shakespeare, IV, II, 23, con connotazioni molto simili a quelle assunte nel poemetto eliottiano).
La prima epigrafe è tratta da Cuore di tenebra (1902) di Joseph Conrad. Ricordiamo, a tal proposito, la parziale lettura del poemetto di Eliot da parte del colonnello Kurtz in Apocalypse Now (Francis Ford Coppola, 1979), film liberamente ispirato al racconto di Conrad.
La seconda epigrafe si riferisce a Guy Fawkes (1570-1606), il cospiratore che ideò la «congiura delle polveri» (complotto progettato da un gruppo di cattolici inglesi a danno del re protestante Giacomo I d’Inghilterra), scoperto e giustiziato coi suoi complici: «nella ricorrenza, in novembre, i ragazzi inglesi ne portavano in giro il fantoccio di paglia, al quale poi davano fuoco, chiedendo “un penny per il vecchio Guy”» (R. Sanesi). Numerosi gli echi danteschi, soprattutto nella sezione IV (Inferno: III, 22-30/ III, 71/ III, 103-105).

 

 

GLI UOMINI VUOTI

Mistah Kurtz – morì

 

(1925)

 

Un penny per il vecchio Guy

 

I

 

Siamo gli uomini vuoti

Siamo gli uomini impagliati

Che appoggiano l’un l’altro

La testa piena di paglia. Ahimé!

Le nostre voci secche, quando noi

Insieme mormoriamo

Sono quiete e senza senso

Come vento nell’erba rinsecchita

O come zampe di topo sopra vetri infranti

Nella nostra arida cantina

 

Figura senza forma, ombra senza colore,

Forza paralizzata, gesto privo di moto;

 

Coloro che han traghettato

Con occhi diritti, all’altro regno della morte

Ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime

Perdute e violente, ma solo

Come gli uomini vuoti

Gli uomini impagliati.

 

II

 

Occhi che in sogno non oso incontrare

Nel regno di sogno della morte

Questi occhi non appaiono:

Laggiù gli occhi sono

Luce di sole su una colonna infranta

Laggiù un albero ondeggia

 

E voci vi sono

Nel cantare del vento

Più distanti e più solenni

Di una stella che si spegne.

 

Non lasciate che sia più vicino

Nel regno di sogno della morte

Lasciate anche che porti

Travestimenti così deliberati

Pelliccia di topo, pelliccia di cornacchia, doghe incrociate

In un campo

Comportandomi come si comporta il vento

Non più vicino –

 

Non quel finale incontro

Nel regno del crepuscolo

 

III

 

Questa è la terra morta

Questa è la terra dei cactus

Qui le immagini di pietra

Sorgono, e qui ricevono

La supplica della mano di un morto

Sotto lo scintillio di una stella che si va spegnendo.

È proprio così

Nell’altro regno della morte

Svegliandoci soli

Nell’ora in cui tremiamo

Di tenerezza

Le labbra che vorrebbero baciare

Innalzano preghiere a quella pietra infranta.

 

IV

 

Gli occhi non sono qui

Qui non vi sono occhi

In questa valle di stelle morenti

In questa valle vuota

Questa mascella spezzata dei nostri regni perduti

 

In quest’ultimo dei luoghi d’incontro

Noi brancoliamo insieme

Evitiamo di parlare

Ammassati su questa riva del tumido fiume

 

Privati della vista, a meno che

Gli occhi non ricompaiano

Come la stella perpetua

Rosa di molte foglie

Del regno di tramonto della morte

La speranza soltanto

Degli uomini vuoti.

 

V

 

Qui noi giriamo attorno al fico d’India

Fico d’India fico d’India

Qui noi giriamo attorno al fico d’India

Alle cinque del mattino.

 

Fra l’idea

E la realtà

Fra il gesto

E l’atto

Cade l’Ombra

 

Perché Tuo è il Regno

 

Fra la concezione

E la creazione

Fra l’emozione

E la responsione

Cade l’Ombra

 

         La vita è molto lunga

 

Fra il desiderio

E lo spasmo

Fra la potenza

E l’esistenza

Fra l’essenza

E la discendenza

Cade l’Ombra

 

Perché Tuo è il Regno

 

Perché Tuo è

La vita è

Perché Tuo è il

 

È questo il modo in cui il mondo finisce

È questo il modo in cui il mondo finisce

È questo il modo in cui il mondo finisce

Non già con uno schianto ma con un piagnisteo.

 

(Parte dell’introduzione e la traduzione del testo sono tratte da “Thomas Stearns Eliot – Poesie”, Edizione speciale per il Corriere della Sera, 2004 RCS Quotidiani S.p.A, Milano)

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