Sally Rooney ha una abile capacità nel descrivere per filo e per segno il tormento di chi ama, come quello che vivono e provano i due protagonisti del romanzo Persone normali (Einaudi) Marianne e Connell.
Ci troviamo a Sligo, contea dell’Irlanda nord-occidentale, che tradotto significa “pieno di conchiglie”, dove i due giovani crescono insieme e, pur allontanandosi, si ritroveranno costantemente vicini.
Marianne è una ragazza particolare, emarginata e vittima di bullismo, la sua presenza non fa rumore, il rapporto con la famiglia è alquanto assente e tormentato. È una ragazza apparentemente fragile ma rivoluzionaria nell’animo.
Connell è un ragazzo sincero, piace a tutti e non ha grandi aspettative da riporre nella vita, probabilmente perché immagina il futuro come un insieme di attimi che si perseguitano e si susseguono in uno strano corso che è l’esistenza.
I due protagonisti si perdono continuamente ma è come se ci fosse un filo a tenerli legati, lui da una parte, lei dalla parte opposta.
Si specchiano continuamente l’uno nell’altra, anche quando sembra che si siano perduti, ritrovano una strada di casa da percorrere insieme.
“Per tutti questi anni sono stati come due pianticelle che condividono lo stesso pezzo di terreno, crescendo l’una vicino all’altra, contorcendosi per farsi spazio, assumendo posizioni improbabili.”
Si incontrano nuovamente all’università, entrambi vengono ammessi al Trinity College, dove lei assume un ruolo più sicuro e maturo, mentre lui si trova ad affrontare un sentimento di marginalizzazione dal mondo e forse dalla vita, che lo porterà ad un percorso di terapia grazie al quale scoverà il suo abisso interiore, che, forse, solo Marianne conosceva davvero.
Si ricongiungono in un fitto scambio di mail, incontrandosi di nuovo, quasi per caso.
Nell’arco temporale ben definito tra Gennaio 2011 e Febbraio 2015 la Rooney non racconta una semplice storia d’amore ma un viaggio di sentimenti, emozioni, delusioni, ferite e cadute che sembra non finire mai. Il paragone sembrerà azzardato ma quando la si legge, si ha la sensazione di leggere Jane Austen, c’è sempre un nodo di narrazione dal quale si viene attratti.
Sally Rooney racconta la storia di tutti noi, il nostro senso di smarrimento che ci caratterizza e che spesso cerchiamo di dimenticare. Il suo stile è realismo e immediatezza, caratteristiche essenziali per un romanzo.
Siamo noi, un po’ nevrotici e nostalgici già a vent’anni.
Marianne e Connell provano davvero a distogliere lo sguardo da quel filo che li lega, incontrano altre persone, si innamorano nuovamente, escono, bevono in compagnia, ma c’è sempre un ricordo, un’onda, un soffio di vento, nei quali si ricongiungono.
C’è un chiaro margine tra l’appartenere ad un luogo ed essere un outsider. A Sally Rooley piace scrivere proprio dallo spazio di confine, e lì nessuno è una persona normale.
“Lei chiude gli occhi. Probabilmente non tornerà. Oppure sì, in un altro modo. Quello che hanno adesso non potranno mai riaverlo. Ma per lei il dolore della solitudine non sarà nulla in confronto al dolore che sentiva un tempo, il dolore di essere indegna. Lui le ha portato in regalo la bontà e adesso le appartiene. Si sono fatti del bene. Le persone possono davvero cambiarsi a vicenda.”
Rebecca Maria Sdoia, nata a Roma nell’agosto del 1995, vivo a Roma, studio Giurisprudenza all’Università di Roma Tre, ho pubblicato la raccolta di poesie “La luce del faro” con Ensemble Edizioni.