Nulla di cui aver paura – Riflessioni di Julian Barnes sulla morte

“Non credo in Dio, ma mi manca!”

 

Nothing to be frightened of (Nulla di cui aver paura), il titolo del libro di Julian Barnes uscito nel 2008 e inedito in Italia, a dispetto delle apparenze non ha nulla confortante. Al contrario, è un monito nei confronti della morte: è il nulla che distrugge ogni senso di sicurezza nell’uomo, e che allo stesso tempo da un significato alla vita. Ed è proprio in questo libro che Barnes prende in analisi le più varie strategie escogitate dagli uomini per rendere il pensiero della morte accettabile, o almeno sopportabile.

C’è chi pensa che affrontare apertamente ciò che è inevitabile aiuti a restare calmi.

“Se la guardi attentamente e tranquillamente in volto, la morte è facile da accettare” dice Jules Renard.

Una strategia opposta è quella proposta da Michel de Montaigne che afferma che è necessario negare la morte e fare finta che non esista.

Altre strategie ancora, sempre elencate da Barnes nel suo libro, si concentrano sul concetto di immortalità: l’immortalità è un mero prolungarsi della vita, è fonte di noia oppure semplicemente gli uomini non la meritano. È irrazionale aver paura del buio eterno che segue la morte, perché non si ha paura del buio eterno che precede la nascita.

Barnes si dimostra scettico di fronte a queste idee e cerca ulteriori spiegazioni e soluzioni  nel campo scientifico della teoria dell’evoluzione e della neurobiologia. Così la vita appare come un insieme di casualità, e l’uomo come un prodotto dell’evoluzione. La morte stessa è pre-programmata dentro di noi; il cervello produce negli esseri umani il senso di un libero arbitrio, di infinito, di eterno, ma la realtà dei fatti è molto diversa.

Barnes propone quindi un universo in cui non c’è Dio, non c’è un Io, e di conseguenza non c’è bisogno di sperare in una vita oltre la morte. Non c’è nulla di cui aver paura. Nella morte non c’è nulla che non si possa già percepire nella vita stessa. Questa visione può sembrare profondamente pessimistica, ma può essere letta come un monito a pensare che in fondo la morte non può toglierci poi così tante cose come siamo abituati a pensare. Se l’Io è una finzione, la sua scomparsa non può essere davvero dolorosa. Forse la morte è solo un’illusione, è solo la perdita di un qualcosa che in realtà già non esiste, quello che noi pensiamo di essere ma che in realtà non siamo. È una posizione difficile da accettare, perché per quanto un uomo non abbia nulla da perdere, secondo questa visione, perde irrimediabilmente, e senza ricevere nulla in cambio, tutto quello che ha, che siano anche solo delle illusioni. Ma questa posizione naturalistica e disincantata non riesce comunque ad aiutare Barnes a superare la sua paura della morte.

Forse, in realtà, una soluzione c’è: l’amore. L’amore potrebbe essere la miglior risposta dell’uomo alla paura della morte. L’amore risuona, più o meno esplicitamente, in ogni singola pagina del libro di Barnes, ne è un sottofondo continuo, quasi un filo conduttore. Barnes rievoca con amore il ricordo dei genitori, degli amici, del fratello, delle persone che sono state la sua famiglia, e che ora sono i suoi morti. Sembra quindi che di fronte alla morte, o almeno di fronte all’argomento della morte, sia inevitabile cercare la compagnia e la tenerezza delle persone care e amate.

The great tragedy of life is not that men perish, but that they cease to love (Somerset Maugham)
(La più grande tragedia della vita non è il fatto che gli uomini muoiano, ma che smettano di amare.)

La perdita della capacità di prendersi cura di un’altra persona, di amare un’altra persona è forse ancora peggio della perdita della vita, peggio della morte.

He loved his wife and feared the death, scrive Barnes a proposito di se stesso.
(Ha amato sua moglie, e ha temuto la morte.)

L’amore sarebbe un prodotto dell’evoluzione votato a ridurre il potenziale dolore della morte, dice Lorenz, oppure semplicemente un’illusione, una creazione della nostra mente.

Comunque  sia, l’uomo ha bisogno dell’amore per vivere. E ha bisogno dell’amore per vivere senza la paura di morire.

L’amore come risposta ultima alla morte. Finchè si ama, non c’è nulla di cui aver paura.

 

Elena Ramella

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