Ombre sull’Acropoli è un racconto di Anna Simonato (la bio, come al solito, la trovate in fondo alla pagina) che abbiamo diviso in due episodi.
Buona lettura!
Vi ricordo la mail per inviarci le vostre proposte di pubblicazione: g.canade@biblon.it
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‘Sei in ritardo, Dimitri!’
‘Lo so, Kostas, mi dispiace! Papà ha voluto che aiutassi mia sorella a sparecchiare. Ha già iniziato?’
‘No, per fortuna. Se ci muoviamo riusciremo a sederci sul marciapiede e a sentire meglio.’
Dimitri tentava inutilmente di stare al passo dell’amico, ma le sue gambe, che quella sera gli sembravano più corte che mai, lo tenevano inchiodato a un impareggiabile distacco.
‘Eccola lì, la vecchia Athena! Veste di nero dall’età in cui perse il marito, a soli vent’anni. La gente del quartiere vocifera che da allora sia in grado di comunicare con l’aldilà e che lì senta le storie che poi lei riporta sull’uscio di casa, storie che farebbero rabbrividire un fantasma. Tu, invece, hai portato le olive?’
‘Eccole ! Credi che due vasi bastino?’
‘Lo spero. Chissà a che le serviranno.’
‘E chi può dirlo? Io spero solo che mio padre non si accorga che dalla dispensa del negozio mancano questi due vasi, se no finisco male!’’
‘Non essere stupido! Se hai fatto come ti ho detto io, puoi stare sereno. Credi che per me sia meno rischioso? Sai quanto costa a mio padre il vino che ho trafugato dalla cantina? Non ho intenzione di assaggiare di nuovo la sua cinghia! Ora, però, sarà meglio stare zitti: la vecchia ha aperto la porta e sta sistemando la sedia in strada. Sediamoci su quel lato del marciapiede!’
I due ragazzini presero posto tra un gruppetto di occhi curiosi quanto i loro, nello stretto vicolo semi buio in cui dimorava la donna. Era eccitante trovarsi a soli pochi passi da colei che nel loro mondo, fatto di pomeriggi di sole e serate di stelle, era considerata la migliore narratrice della zona. Nonostante gli adulti diffidassero dell’anziana a causa delle sue misteriose pratiche – a sentire alcuni addirittura affini alla stregoneria – la voce roca di Athena ammaliava i bambini come i fiori le api, specie da quando le truppe naziste avevano invaso il paese e poi iniziato a ritirarsi, stemperando quell’atmosfera di terrore dai cui tentacoli ognuno tentava di fuggire a modo suo nelle poche fette di quotidianità concesse dagli occupanti dal giorno dell’invasione. Non c’è da meravigliarsi se i più piccoli si tuffarono a capofitto tra le braccia avvizzite di fantasie che, nonostante le tinte macabre, rappresentavano un’alternativa di gran lunga più accettabile alle svastiche e agli stivali appuntiti dei soldati in marcia nell’Atene di allora.
‘Ciò che si dice sul conto della vecchia non può che essere vero!’, pensò Dimitri mentre i suoi occhi vergini di esperienze si posarono la prima volta su quel volto incartapecorito. Quella che sedeva sulla scomoda sedia impagliata e tinteggiata di azzurro pastello aveva senz’altro un legame con una forza oscura, dal cui mistero, tuttavia, Dimitri era letteralmente attratto. In bilico tra terrore e curiosità, il ragazzino stette a fissare le movenze cerimoniose di Athena, la quale eseguiva con placida naturalezza gesti ancestrali che pareva ripetere dalla notte dei tempi. Mentre faceva apparire le mani ossute dalle maniche slabbrate della sua lunga veste nera, allo scopo di afferrare le ricompense alimentari per la storia che si accingeva a raccontare, la cornice rugosa dei suoi occhi – fieri e infossati – rivelava la pesantezza di anni di austerità. Gli occhi, invece, piccoli e rapidissimi, conservavano accesa la fiamma viva di chi lotta per succhiare il resto del polline che l’esistenza può ancora offrirgli. Dimitri se ne accorse non appena il suo sguardo incrociò quello dell’anziana. Il tempo di un attimo e gli parve di scorgere l’ombra di un mefistofelico sorriso sul volto di Athena, il sorriso di chi riconosce sul volto altrui i tratti di una paura mal dissimulata. Ma si trattò di un attimo soltanto perchè, d’un tratto, la voce della vecchia ruppe il silenzio, appena le sue dita nodose riposero in una cesta le offerte votive appena ricevute. I ragazzini inginocchiati trattennero il fiato.
‘Quella che sto per raccontare è una storia vera. Benché la conoscano in molti, sono in pochi ad avere il coraggio di raccontarla – e di ascoltarla – perché sanno che ogni volta che viene raccontata accade qualcosa di terribile, a meno che chi la ascolta non ci creda del tutto. È una storia che parla del male del mondo, un male che prende forza e si manifesta in forme sempre nuove e inaspettate! E questo perchè ombre scure regnano nel cuore di dèi e uomini e non sempre è possibile infondervi la luce. Quindi, chi di voi non ha il coraggio di stare a sentire, si alzi ora e se ne vada; chi invece non ha timori resti fino alla fine, per non interrompere la voce degli dèi che, attraverso la mia, si fa umana.’
Nonostante la paura, nessuno dei ragazzi, all’inizio, osò fare il minimo movimento. Allora la vecchia iniziò:
‘Quella notte, Dafne non riusciva a dormire per il caldo, così se ne andò a passeggiare alla ricerca di qualche ramoscello d’ulivo per la sua stanza. Le strade della città erano così vuote che ovunque il rumore dei suoi giovani passi riecheggiava lontano. La Luna, rotonda e argentata come non mai, splendeva nel cobalto del cielo puntellato di stelle, vegliando dall’alto la ragazza. Quando si fu allontanata abbastanza dalla fila di case in cui viveva con suo padre e sua madre, si rese conto che il paesaggio che vedeva di giorno assumeva un aspetto del tutto diverso la notte. I rami degli alberi, tesi a chiederle un nodoso abbraccio alla luce del sole, ora parevano volerla imprigionare; il canto degli uccelli che adorava sentire all’alba si faceva silenzioso nelle tenebre, scosse soltanto dal verso stridulo di qualche rapace. Anche il fruscio del vento, che la accarezzava nelle dure ore di lavoro mattutino, preferiva manifestarsi in impietose sferzate sulla sua schiena irrigidita. Dafne iniziava a pentirsi di aver abbandonato il suo giaciglio, ma oramai aveva percorso troppa strada per tornare da dove era venuta: non le restava che giungere alla sommità della collina e ridiscendere dal fianco opposto. A passi sempre più incerti, proseguì lungo il pendio della leggendaria collina dominata dal teatro di Dioniso, il Partenone e l’Eretteo. Vederli stagliarsi di fronte a sè le infuse un po’ di coraggio. In fondo lì aleggiavano le anime di coloro che avevano preso parte alla magnificenza della vita ateniese nei suoi secoli di splendore, mille anni addietro. Poteva udire sapienti cantori recitare le sublimi opere di Eschilo e Senofonte; percepiva le preghiere di fedeli nell’atto di offrire doni votivi da sacrificare a Pallade; sentiva il ticchettio di sapienti artigiani scolpire metope e capitelli. Rincuorata da queste effimere presenze del passato, Dafne si accingeva ad attraversare la cima della collina per scendere poi dal versante opposto. Fu allora che una voce agghiacciante ruppe il silenzio in cui era avvolta:
‘Chi osa solcare questa terra benedetta nel cuore della notte? Chi osa disturbare il sacro sonno degli dèi verrà punito!’
Terrorizzata da quelle parole, Dafne cercò riparo tra le colonne dell’Eretteo, dicendosi che si era trattato di uno scherzo della sua immaginazione. Si guardò intorno per verificare di essere sola, ma non aveva il coraggio di proseguire. Le gambe paralizzate non la ressero e dovette lasciarsi cadere a terra. Si abbracciò le ginocchia e ci infiló in mezzo la testa prima di rompere in un pianto inconsolabile.
‘Vi siete persa?’
Una voce vicinissima le aveva rivolto queste parole. Titubante, sollevò appena la testa coprendosi con un braccio e indietreggiò, convinta che fosse giunta la sua ora.
‘Vi siete persa?’, chiese di nuovo la voce a cui lei trovò il coraggio di dare un volto sollevando appena il capo. Davanti a sè vide un ragazzo poco più grande di lei dallo sguardo gentile e i morbidi lineamenti. I suoi occhi nocciola riflettevano la luce della luna mentre la fissavano placidi.
‘Sono Jannis, il guardiano dell’Acropoli. Voi come vi chiamate?’
‘Sono Dafne. Stavo camminando e mi sono persa. Poi ho sentito quella voce.’
‘Quale voce?’
‘La voce che parlava del sonno degli dèi.’
‘Io lavoro qui da tre anni e di voci non ne ho mai sentite. Ve la sarete inventata. Soltanto gli anziani lo ritengono un luogo magico. Vi accompagno a casa?’
Un sorriso disteso fu l’unica risposta di Dafne. Quando fu di nuovo davanti alla porta di casa, ella promise al giovane che si sarebbe recata da lui anche l’indomani. La notte successiva i due ragazzi si trovavano di nuovo lì, come promesso. Mentre lui le spiegava il significato dei magnifici bassorilievi sul frontone dei templi, lei udì nuovamente quella voce e lo strinse a sè. La terza notte sull’acropoli lui la baciò. Fu quando le loro labbra si unirono che dal cielo si levò un grido raccapricciante: ‘chi osa solcare questa terra benedetta nel cuore della notte? Chi osa disturbare il sacro sonno degli dèi verrà punito!
Stavolta la udì anche il ragazzo, che strinse a sè Dafne come a proteggerla, ma si sa che un mortale niente può contro la forza degli dèi. La loro ira si manifestò ben presto sulla sacra collina sotto forma di vento le cui braccia invisibili avvinghiarono il giovane trascinandolo lontano fino a farlo sparire, mentre Dafne allungava le dita nel disperato tentativo di afferrare l’amato. Con stupore notò che non le era possibile: le sue mani iniziarono ad indurirsi mentre il sangue le si asciugava nelle vene. Con lo sguardo atterrito si accorse che la terribile metamorfosi si stava estendendo anche al resto delle membra: sulle braccia, lungo le gambe e il collo. Quando anche la bocca divenne pietra, un grido di paura le si cristallizzò tra le labbra. L’ultima cosa che vide poco prima che anche le sue pupille cessassero di muoversi furono cinque sagome di quelle che erano state ragazze come lei e che, come lei, erano divenute colonne a sostegno del tetto dell’Eretteo, colpevolo, forse, di aver scatenato la furia divina. Il suo ultimo pensiero volò verso Jannis, perduto per sempre tra le braccia dell’oscurità. Poi anche i pensieri si fecero pietra e Dafne andò ad unirsi alle cinque cariatidi, proprio dove pareva esservi uno spazio per una sesta statua di pietra, tra le ombre scure dell’Acropoli. Poi l’atroce metamorfosi terminò di compiersi e tutto tacque sotto lo sguardo imperturbabile del cielo.’
Quando la vecchia alzò gli occhi verso i ragazzini, si compiacque nel vedere che ne mancavano soltanto un paio rispetto a quando aveva iniziato la storia. Il resto del gruppo se n’era rimasto lì con gli occhi fissi su di lei, sulle sue mani leggiadre, sulla sua bocca contorta, sui suoi occhi minacciosi.
‘Tu ci credi, Kostas?’, chiese Dimitri all’amico sulla strada di casa.
‘A cosa?’
‘Al racconto di Athena. Dice che ogni volta che si racconta quella storia poi accade qualcosa di terribile, a meno che chi la ascolti non ci creda ciecamente. Tu ci credi?’
‘Certo che no. Sono tutte fandonie ma è un piacere starla a sentire. Tu invece mi sa che ci credi.’
‘Niente affatto!’
‘Ci credi eccome! Ti ho visto mentre lei raccontava la storia. Eri terrorizzato. A momenti te la facevi sotto.’
‘Che dici? Non ero spaventato!’
‘Ah no? Allora scommettiamo che non hai il coraggio di salire in cima all’Acropoli di notte!’
‘Sì che ce l’ho!’, urlò Dimitri in faccia all’amico cercando di nascondere il tremolio che sentiva nella sua stessa voce.
‘Benissimo! Allora è deciso: al prossimo plenilunio, io e gli altri verremo con te fino ai piedi dell’Acropoli. Tu scavalcherai il cancello e attraverserai la spianata fino all’altra estremità. Noi ti aspetteremo lì.’
L’indomani a pranzo, la madre di Dimitri notò un velo di inquietudine sul volto del figlio.
‘Che c’è Dimitri? Non hai fame? Ho fatto la minestra di carne per te!’
‘Niente, niente. Sono solo stanco!’, rispose il ragazzino sperando che nessuno si fosse accorto della sua fuga notturna.
‘Stanco di che? Passi le giornate a bighellonare con quegli scapestrati dei tuoi amici. Sarà una settimana che non ti vedo aprire un libro. Lo sai quanto ci tiene papà!’
‘Lo so. Oggi studio. Promesso!’
Mentre diceva così, entrò nella stanza Artemisia.
‘Guarda tua sorella! Perché non prendi esempio da lei, una buona volta? Lavora, mi aiuta in casa e non si lamenta mai!’
‘Suvvia, lasciatelo stare, madre! Non vedi che è ancora un cucciolo?’ Ribattè appiccicandogli un bacio sulla guancia e spettinandogli i capelli.
Dimitri l’adorava. Nonostante fosse la figlia prediletta, stravedeva per la sorella! Da piccolo avrebbe voluto addirittura sposarla. L’unica cosa che non capiva era perché si fosse invaghita di quel soldato tedesco.
‘Christian non è come tutti gli altri, Dimitri – le aveva detto qualche mese prima – è gentile e mi ama. Ne sono sicura. Guarda – disse mostrando al fratellino la collana d’argento che lui le aveva regalato – ti pare che spenderebbe i suoi soldi per me se non mi volesse bene?’
‘Che stai cucendo?’, le chiese Dimitri dopo essersi sistemato i capelli.
‘Ti piace? Un fazzoletto per Christian. Vedi? Ci sono le due iniziali: C.H, stanno per Christian Hoffmam. Credi che gli piacerà? – ma si rispose da sola – certo che gli piacerà. Ci sono tutti i colori delle nostre isole: il blu dell’Egeo, il giallo dei campi, il verde degli ulivi e il bianco delle case!’
‘È bellissimo, Artemisia! Ora però devo andare a scuola. Sì è fatto tardi!’
‘Certo, ma riuscirai a concentrarti? – chiese incrociando lo sguardo interrogativo del fratello – Uscire la sera non aiuta a studiare!’, aggiunse sottovoce per non farsi udire dalla madre e senza staccare lo sguardo dal fazzoletto ricamato. Poi si lasciò scappare mezzo sorriso, di quelli laterali che solo lei sapeva fare quando era solita dare da intendere che sarebbe rimasto un segreto tra loro. Questo bastò per sciogliere la tensione nel volto di Dimitri, che le restituì il sorriso e uscì di casa, ma quella notte era la notte della fatidica scommessa e Dimitri non chiuse occhio.
Aveva ripetuto a se stesso che non gli sarebbe accaduto nulla, tuttavia si sentiva addosso un’incontrollabile paura. Verso le dieci si coricò vestito, pronto a scattare dopo due ore. Come aveva fatto due sere prima per recarsi dalla vecchia a sentire la sua storia, anche quella notte preparò una sagoma della sua grandezza. Prese un paio di cuscini e li infilò dentro al pigiama, poi sistemò le coperte di modo da rendere il tutto più credibile. Alla luce della luna, scese lentamente le scale facendo attenzione a non far rumore. Poteva sentire il respiro pesante e tranquillo dei suoi genitori che dormivano nella stanza accanto, mentre la luce nella camera di Artemisia era ancora accesa. Quando finalmente sgattaiolò dalla porta d’ingresso, tirò un respiro di sollievo che durò il tempo necessario per ricordare l’impresa che lo attendeva. Tuttavia, non aveva scelta: doveva dimostrare ai suoi amici che aveva il coraggio di farlo. E poi era grande per tirarsi indietro! Quando fu nei pressi dell’Acropoli, si fermò.
‘Allora ci sei!’, esclamò Kostas uscendo dal cespuglio in cui si era nascosto con gli altri a masticare del tabacco.
‘Certo!’
‘Bene! Sai cosa devi fare! Scala la montagna, attraversa la piana e aspettaci oltre la cancellata, dall’altra parte dell’altura.’
Dimitri deglutì e non disse una parola. Sapeva che ciò che stava per fare era pericoloso. Non si trattava solo di tradire la fiducia di suo padre, ma anche di intrufolarsi di nascosto in una zona pubblica senza nessun permesso e senza farsi notare dalle poche guardie tedesche rimaste in rappresentanza a presidiare il paese. Oltretutto si trattava di un luogo sacro agli dèi, il simbolo del suo popolo. Tuttavia, sarebbe stato peggio portare il peso della vergogna che gli sarebbe toccata, se avesse rifiutato di portare a termine quella maledetta prova.
‘Coraggio, Dimitri!’, si disse scavalcando la cancellata. Ombre scure avvolgevano le membra ossute del ragazzino mentre, passo dopo passo, si accingeva ad oltrepassare i propilei e il tempietto dedicato alla Nike. Il consueto vento serale si era già alzato, portando con sè un vago ricordo dell’odore del mare. Dimitri volse lo sguardo a cercarlo ma non poteva vederlo nel buio della notte. Il solo sapere che era lì gli dava il sollievo che nemmeno il magnifico teatro di Dioniso alla sua destra era stato in grado di infondergli. Immaginava che fossero tutti lì ad assistere alle sue prodezze: ateniesi comodamente seduti sulle calde gradinate pronti a gustarsi lo spettacolo delle gesta di un nuovo eroe che tra gli applausi andava a prender posto nelle file di mille volti leggendari. Si immedesimò in Achille piè veloce, nell’arguto Ulisse, nel valoroso Aiace, eroi delle cui gesta suo padre gli aveva raccontato da piccolo. Poi il verso stridulo di un rapace spazzò via quei sogni fatti di speranza, come una mano increspa la superficie liscia di uno specchio d’acqua limpido.
(Fine prima parte)
Anna Simonato è originaria della provincia di Venezia. Specializzata nell’insegnamento della lingua inglese e spagnola, ha lavorato per quasi quindici anni nel mondo della scuola. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca finalizzato alla creazione di un dizionario del veneziano online. Da un paio di anni si è avvicinata al mondo della scrittura, partecipando ad alcuni concorsi nazionali per racconti inediti, di cui due sono stati segnalati e pubblicati nelle relative antologie nel 2019: ‘Tinte cubane’ e ‘In ogni irripetibile istante’.