In un mondo fumettistico da anni in mutamento e che sembra aver abbattuto la barriera del pregiudizio, riuscendo nell’impresa di entrare nel linguaggio comune dei lettori, seppure a discapito di una sostituzione del nome – guai a usare il termine “fumetto”, sostituito da alcuni dal prattiano “letteratura disegnata” (forse utile decenni fa, ma ora termine ipocrita) o dal più moderno Graphic Novel, pochi autori restano fedeli a se stessi, pochi gli autori che proseguono coerentemente sulla strada della propria poetica. Uno di questi è Tiziano Sclavi, che, perlopiù conosciuto come l’autore di Dylan Dog, ha portato avanti una carriera parallela da romanziere, poi abbandonata perché deluso dai risultati di vendita.
Dopo il successo degli anni d’oro della sua creatura pubblicata dalla Sergio Bonelli Editore, Sclavi ha via via diradato le sue pubblicazioni, tanto da porre i suoi fan in sempiterne attese di suoi nuovi lavori. E, anche se con fatica, negli ultimi due anni la testata da lui creata e attualmente in mano a Roberto Recchioni ha visto l’uscita di ben due storie in edicola, successivamente in libreria in volumi cartonati. In preparazione, sempre per Bonelli, lo scrittore pavese ha una miniserie legata al mondo di Dylan Dog pur senza la presenza dell’ingombrante protagonista.
Ma a mettere in fibrillazione i lettori è stato l’annuncio della sua prima graphic novel, edita dalla Feltrinelli nella collana Feltrinelli Comics; una collana moderna che, in formato libro, sta pubblicando dei volumi interessanti e anche sperimentali e coraggiosi, se pensiamo, ad esempio, al Romanzo Esplicito di Yole Signorelli in arte Fumettibrutti. Riteniamo che in questo quadro di sperimentalismo e profondità vada collocato anche Le voci dell’acqua di Sclavi, disegnato da Werther Dell’Edera. Parliamo di sperimentalità non solo per la magnifica prova del disegnatore pugliese, che tratteggia perfettamente con stile toporiano (e su Roland Topor ci ritorneremo) la pioggia metaforica e frammentaria della storia sclaviana, ma anche per ciò che narra lo stesso Sclavi ovvero la storia schizofrenica di un impiegato statale al confine tra fantasia, sogno/incubo e realtà. Una storia intrisa, inzuppata di malinconia e negatività, che rifugge l’ironia e diventa specchio di radicale, infinita e immensa solitudine.
A Stavros, il protagonista, viene diagnosticata la schizofrenia. Stavros sente le voci: le sente nell’acqua che scorre. Per tutte le pagine della graphic novel non smette di scendere un’incessante pioggia, così da far sentire anche a noi lettori le voci disperate di un mondo che s’inzuppa della propria solitudine.
Dicevamo della frammentarietà: i capitoli di questa storia non sembrano altro che brevi paragrafi disuniti che vanno a ricomporsi di senso nello svelamento finale. Nelle storie di Sclavi, in special modo nella sua straordinaria produzione narrativa, purtroppo ancora poco considerata a livello critico, l’autore s’intrufola, come il Georges Perec di La vita istruzioni per l’uso, nelle vite di semplici cittadini, nelle loro case borghesi, nei loro appartamenti, tane di solitudini e abiezioni esistenziali. Stavros è quindi lo stesso autore che, ammalato di quella disperazione esistenziale che tutto ammorba, cammina per strada, flâneur ombroso, e percepisce da medium la disperazione di tutti noi?
Di certo, il nome Stavros richiama l’omonimo protagonista di uno splendido racconto di Sclavi, Il testimone arcano, contenuto nel volume Sogni di sangue (Camunia, 1992): il protagonista, complessato e agorafobico, diviene suo malgrado testimone di un incidente stradale e verrà manipolato da loschi figuri pur di averlo dalla propria parte. Nella ridda di angosciose situazioni, questo Stravos perderà se stesso. Il racconto è, per certi versi, il ricalco dell’amato Inquilino del terzo piano di Roman Polaski, a sua volta tratto dal gioiello letterario di un altro idolo sclaviano, quel Roland Topor, scrittore e disegnatore surrealista, che nella carriera di Sclavi risulta sempre presente. E, come dicevamo, i disegni di Dell’Edera sembrano riportarci a quelle righe, a quei graffi demoniaci del compianto autore francese.
In Le voci dell’acqua, ritornano dunque tutti i topoi sclaviani: il protagonista depresso che vive in un mondo oppresso da burocrazia e inumanità; gli amati mostri disprezzati dalla gente perbene; dialoghi di storie d’amore mai svelate, donne misteriose come la Marina Kimball de Il lungo addio (Dylan Dog n.74) o la ragazza protagonista nella storia principale del romanzo-labirinto Tre, o ancora la ragazza cieca dello stesso Testimone Arcano. Ma non solo: scene surreali e archetipiche dello scrittore Sclavi, come l’immagine di un’astronave che atterra nel mezzo di una piazza senza che nessuno se ne stupisca (scena presente anche in Dylan Dog o narrata, ad esempio, nel bellissimo La circolazione del sangue). Potremmo continuare a ricercare ed elencare le autocitazioni dell’autore, o per meglio dire, le immagini primeve di un autore che, e Le voci dell’acqua a nostro avviso lo conferma, è tra i meno “commerciali” della nostra editoria. Un autore che ci parla per capire se stesso, per dirci come il suo mondo sia così nero e impressionante, sporcato da una pioggia di china indelebile.
Il mondo di Sclavi è il nostro mondo.
Giovanni Canadè