“L’uomo ha, dovunque noi lo possiamo incontrare,una certa tendenza alla degenerazione e una plasticità che si eleva facilmente fino al lusso […] Il processo di adattamento a condizioni di vita eccessivamente comode significa degenerazione.”
Si apre con una citazione in esergo tratto da Della natura dell’esperienza del filosofo Arnold Gehlen, l’esordio al romanzo di Elena Giorgiana Mirabelli, in Configurazione Tundra (Tunuè, 2020). Gli studi del filosofo, sociologo e antropologo tedesco, attenti alla definizione dell’Uomo come “totalità organica”, possono considerarsi come la parte puramente teorica dello svolgimento del romanzo. È a Gehlen che dobbiamo pensare quando incontriamo Marta Fiani, ideatrice del progetto “Bioma”, cioè l’ideazione di un’architettura che genera mutazioni nel comportamento umano, funzionali a rendere l’individuo felice. Mentre al Samuel Beckett dell’inafferrabile romanzo L’innominabile, altra citazione in esergo, dobbiamo pensare seguendo la storia della protagonista Diana, intenta a leggere le memorie sparse di Lea, la figlia di Marta, che quella felicità “perfetta” ricercata dalla creazione materna la sente sfuggire, non la comprende, le diventa, appunto inafferrabile e innominabile.
Lea ha una casa senza porte, “Ha lasciato delle scatole piene di lettere in cui ha smontato inventato ritagliato e smussato – casa, vestiti, paure, madre, padre, salotto. L’ho vista in foto riposte nei cassetti e nelle scatole sotto il letto, in cornici d’osso sulle mensole, in album di cuoio con lettere incise in copertina.[…] Lea Fiani per me è un nome, delle lettere, un viso e la casa in via Oida n. 7 altezza km3. Una grande scatola che rilascia odore di tessuti e polvere e agrumi. A volte ho la sensazione che i miei stessi vestiti me lo consegnino, quasi come se mi fossi allineata – io, il mio corpo, queste pareti. Lea ne parla nella lettera dedicata alle case e agli animali: il legame con lo spazio; le case che sono ambienti ai quali si reagisce;”
Basta poco per addentrarci in un microcosmo ordinato e “innaturale”, benché sia proprio la Natura, chiaramente idealizzata e piegata ai propri principi, a segnare l’esperimento della città-bioma di Marta Fiani, nella quale ci sembra di percepire il minaccioso Rumore Bianco di Don DeLillo, o nella quale ci muoviamo come nelle periferie borghesi e agiate di alcuni romanzi di J. G. Ballard (pensiamo a Cocaine Nights o a Millennium People) ancora una volta minacciose e sul punto di rivelare e poi inghiottire il vero volto di un’umanità ferina mai superata dal processo di civilizzazione, ma solo rimossa. Nella Tundra di Elena Mirabelli, invece, troviamo anche altro: la ricerca di una verità individuale attraverso il percorso di una storia che s’imprime nelle case, negli oggetti; la lettura di appunti sparsi, la discrasia tra un ambiente lucido e pulito macchiato dalle deiezioni “perverse” degli uomini; nelle case della Tundra siamo prede di occhi invadenti, schermi e registrazioni, scritture impresse nella retina, incomunicabilità egoistiche.
Configurazione Tundra è un romanzo distopico e dunque dispotico per l’invadenza totalitaria di chi impone un equilibrio fuori dalla prospettiva dell’umano caos. La scrittura di Lea e di seguito quella di Diana, è l’arma per conservare a se stessi, e al lettore che casualmente percorrerà quelle stesse orme prigioniere, quel barlume di umanità imprigionata nelle proprie mura.
Nonostante i molti riferimenti autoriali, anche interni al romanzo (in coda possiamo trovare una bibliografia parzialmente reale), la scrittura di Elena Giorgiana Mirabelli ha il pregio di non essere derivativa. Secondo il curatore della collana di narrativa di Tunuè, Vanni Santoni, la Mirabelli “appartiene alla rara categoria dei debuttanti che arrivano sulla scena maturi, armati di ogni dispositivo stilistico e formale”.
L’essenzialità del già citato DeLillo o l’evocazione sospesa di Stanisław Lem confluiscono in questo romanzo-città, o meglio, romanzo-gabbia, che sembra dirci quanto sia facile fuggire da noi stessi cercando la perfezione, mentre stiamo camminando verso i reticolati di una gabbia grande quanto il mondo.
Forse solo le storie ci potranno elevare?
Giovanni Canadè