In occasione del compleanno di Tiziano Sclavi, uno degli scrittori italiani più innovativi del nostro panorama letterario, ma anche tra i meno conosciuti, ripubblichiamo la recensione a Dellamorte Dellamore, il suo romanzo più conosciuto e che recentemente è stato reso reso disponibile gratuitamente dallo stesso autore.
Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, pubblicheremo altri approfondimenti sui romanzo dello scrittore pavese, conosciuto ai più come l’autore del fenomeno fumettistico Dylan Dog.
Il pezzo è stato pubblicato originariamente sul sito www.modulazionitemporali.it
Lo ripubblichiamo qui con alcune leggere varianti.
***
Il 25 marzo 2020, Tiziano Sclavi ha reso disponibile a tutti i lettori il suo romanzo Dellamorte Dellamore, pubblicato originariamente nel 1991 dall’editore Camunia del compianto Raffaele Crovi.
Il romanzo, scaricabile in formato pdf, è quindi disponibile in rete sul sito de Il Post, sito scelto da Sclavi come ringraziamento per il pregevole lavoro di divulgazione e informazione in questo periodo di emergenza da Coronavirus.
Il romanzo più famoso e venduto di Sclavi non è in commercio da moltissimi anni, così come tutta l’opera dello scrittore pavese. Tiziano Sclavi, lo ricordiamo, è l’autore di uno dei più importanti successi fumettistici, padre del fumetto Dylan Dog, l’Indagatore dell’Incubo in edicola da più di trent’anni, tra ristampe e storie inedite.
Chi è Francesco Dellamorte?
Nell’immaginario paese di Buffalora, i morti tornano in vita dopo sette giorni dalla loro dipartita.
A occuparsi dei loro cadaveri è l’ombroso guardiano del cimitero, Francesco Dellamorte, accompagnato dal suo fedele assistente Gnaghi, un freak come i tanti protagonisti e comprimari delle storie di Sclavi.
Dellamorte indossa una camicia bianca, sempre fuori dai pantaloni, guida una Bianchina e il suo hobby è la costruzione di un modellino di un teschio che non riesce mai a completare. Questi non sono che alcuni degli elementi che hanno in comune Dellamorte e Dylan Dog: ma se il becchino di Buffalora è un’anima oscura, con la perenne espressione di indifferenza sul viso, Dylan è la sua controparte più luminosa; entrambi hanno a che fare col soprannaturale, ma se in Dylan si tratta di forze maligne che l’Indagatore cerca di contrastare e/o comprendere, nel mondo di Francesco Dellamorte la realtà è immutabile, ripetitiva, sono messi in discussione i concetti stessi di bene e male e Dellamorte reagisce con indifferenza a entrambi.
Diversamente dagli zombi di Romero, infatti, quelli che ritornano alla vita nel cimitero di questo paesino italiano non sono aggressivi, anzi, spesso si presentano volontariamente alla porta di Francesco per farsi sparare in testa. La vita e la morte sono uguali, tanto che Francesco non si fa scrupoli ad uccidere i vivi, per “portarsi avanti col lavoro”.
Una sera, Dellamorte entra in scena nella piazza del paese sparando su delle persone a caso, e successivamente lo si vede uccidere una ragazza dopo averla violentata. Perché in Dellamorte Dellamore anche il sesso è deviato.
Francesco s’innamora solo una volta, di una donna come lui attratta dal lugubre. Fanno l’amore in un ossario ma poi, il di lei marito redivivo la infetta col suo morso. Eppure, lei ritornerà ancora, in altri ruoli. Francesco arriverà persino a farsi evirare pur di conquistarla quando, nelle vesti della segretaria del sindaco, gli confesserà di odiare il sesso. Ovviamente neanche questa volta l’amore andrà in porto, ma, nell’assurdità delle situazioni descritte da Sclavi, lo stesso Francesco Dellamorte tornerà, poco dopo, in una scena di sesso, a far l’amore come se nulla fosse.
“Il sarcasmo, l’ironia amara, l’umorismo nero, il grottesco, pervadono il romanzo funzionando da freni, impedendo sempre una precisa interpretazione, ma soprattutto resistendo alle forze centrifughe che tendono a trascinarlo ora verso l’horror, ora verso la tristezza esistenziale, ora verso la piena comicità. Scavi ottiene così un equilibrio instabile e inquietante da una miscela di elementi contraddittori, mantenendo il tono del racconto sul piano delle leggerezza, quasi della favola surreale ed onirica.” (Daniele Bertusi, Dellamorte e altre storie, Periplo Edizioni, 1997)
Il romanzo di Tiziano Sclavi, infatti, gioca sulla suspense (perlopiù volontariamente disattesa) e sulle situazioni improbabili. Dellamorte Dellamore è un romanzo onirico e surreale, che accumula situazioni per poi lasciarle volutamente fluire verso l’ignoto.
“Che cazzata morire, è come passare da un buio a un altro buio”, dice l’alter ego di Dellamorte, moribondo in un letto d’ospedale.
Dellamorte Dellamore è un romanzo nichilista, senza speranza.
I temi sono in fondo gli stessi di tutta la narrativa sclaviana, a iniziare dal suo primo romanzo breve, Film (1974), che già portava sulla carta la non-vita di un anonimo paesino di provincia simile a Buffalora. In Dellamorte, invece, abbiamo l’aggiunta dell’elemento macabro, dell’horror, attraverso i suoi cliché (i morti viventi, il cimitero, la Morte stessa che dialoga con il protagonista) ma Sclavi supera il “genere” per rientrare a tutti gli effetti tra gli scrittori post-moderni del Novecento.
Dellamorte Dellamore è un romanzo scritto in forma di sceneggiatura, in uno stile che mima il cinema e il fumetto, con movimenti di macchina da presa e onomatopee proprie del mondo delle nuvole parlanti. Narratore onnisciente e prima persona si confondono, si sovrappongono e l’uno influenza l’altro.
A introdurre ogni capitolo una filastrocca sulla Morte seguita da un’illustrazione di Angelo Stano, che realizza anche la copertina, come traino per il pubblico fedele a Dylan Dog, del quale Stano è stato, e lo è ancora, una delle firme più prestigiose. E proprio Francesco Dellamorte e Gnaghi erano stati pensati da Sclavi come protagonisti al posto di Dylan e Groucho.
Nel 1993 esce nei cinema la trasposizione a firma di Michele Soavi, che elimina buona parte della violenza nichilista del romanzo e costruisce un horror divertente e romantico, ultimo barlume di vita (perdonate il gioco di parole) di un cinema dell’orrore italiano che da allora non ha regalato che qualche sparuta e anemica visione.
Giovanni Canadè