Giuncheto lieve biondo
come un campo di spighe
presso il lago celeste
e le case di un’isola lontana
color di vela
pronte a salpare –
Desiderio di cose leggere
nel cuore che pesa
come pietra
dentro una barca –
Ma giungerà una sera
a queste rive
l’anima liberata:
senza piegare i giunchi
senza muovere l’acqua o l’aria
salperà – con le case
dell’isola lontana,
per un’alta scogliera
di stelle –
Antonia Pozzi, prima di essere Antonia, è stata una poetessa.
Ciò che ha contraddistinto la sua vita è stata proprio la capacità – costante e onnipresente – di scorgere poesia ovunque andasse, in qualunque esperienza vivesse, dall’alba del primo giorno all’ultimo tramonto. È stata la poetessa dell’oblio, della paura, dell’incomprensione (è stata compresa infatti soltanto post mortem), della vita e dell’amore. Non esitano, i suoi versi, a farsi poesia, a entrare nelle case degli altri, attraversando librerie di città in città.
La sua raccolta Desiderio di cose leggere, edito da Salani Editore, a cura di Elisabetta Vergani, ci racconta l’excursus poetico di una Antonia nostalgica di tempi mai vissuti, di amori incompiuti, di attimi rubati agli altri e poi a se stessa. Nella raccolta l’attenzione si sofferma sul tempo, ben scandito, diviso in giorni e in anni: è il tempo che ha attraversato l’esistenza della Pozzi in punta di piedi, come una ballerina immortalata in un quadro di Degas.
La nota di fondo delle sue poesie è sempre e soltanto la malinconia, che però appare curiosa del mondo, poco errante, quasi assortamente sorridente.
Se dovessi immaginare Antonia Pozzi – senza guardare le sue foto – me la immaginerei lieta della vita, nonostante la sua tragica fine a soli ventisei anni.
Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera
come le estreme foglie
dei pioppi, che s’accendono di sole
in cima ai tronchi fasciati di nebbia –
Vorrei condurti con le mie parole
per un deserto viale, segnato
d’esili ombre –
fino a una valle d’erboso silenzio,
al lago –
ove tinnisce per un fiato d’aria
il canneto
e le libellule si trastullano
con l’acqua non profonda –
Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera,
che la mia poesia ti fosse un ponte,
sottile e saldo,
bianco –
sulle oscure voragini
della terra.
Il tema centrale delle sue poesie è la natura, un legame tanto profondo con le radici, le sue radici, e la terra lombarda, i suoi fiumi, le sue piante, e il cielo e le montagne.
Quando leggiamo i suoi versi, abbiamo la vivida sensazione di scorgerla nel ramo di un albero ancora in bilico ma pur sempre in equilibrio, nell’onda che si infrange durante una tempesta, nel profumo di pino dopo la pioggia, nel percorso di un bosco in una fitta notte che ci porta a casa.
Il viaggio della Pozzi è un viaggio straordinario seppur breve, colorato dalla sua inconfondibile voce, scoperta quasi per caso e subito amata da Eugenio Montale, il quale la definiva forever young.
È bello scoprirla, Antonia, lasciarsi abbracciare e riscaldare dalle sue poesie, portarla con noi, nella nostra stanza, e lasciarla parlare, permetterle di illuminare la nostra sete di conoscenza.
Desiderio di cose leggere è una raccolta lieta, che ci permette di intravedere la poesia della semplicità, delle piccole cose, del quotidiano che diviene esistenza, passata e futura.
Ritroviamo nelle sue poesie uno spirito profondamente religioso, nonostante l’assenza di fede.
Antonia aveva uno sguardo proiettato verso l’infinito, tanto che non è bastata una vita a contenerlo, ed ora vola, vola in alto quel desiderio di cose leggere.
Io vengo da mari lontani – io sono una nave sferzata / dai flutti / dai venti – corrosa dal sole – macerata dagli uragani – io vengo da mari lontani / e carica d’innumeri cose / disfatte / di frutti strani / corrotti / di sete vermiglie / spaccate – stremate / le braccia lucenti dei mozzi e sradicate le antenne / spente le vele / ammollite le corde / fracidi gli assi dei ponti –
Rebecca Maria Sdoia