Dove siamo stati bene insieme (Les Flâneurs Edizioni, 2021) più che una constatazione, può essere letta come una domanda, come un modo per rintracciare nelle memoria di questa famiglia protagonista del romanzo, un luogo, un momento, una situazione che ne abbia davvero reso felici tutti i componenti. E di momenti di armonia e serenità paiono essercene molti, eppure, più progrediamo nella lettura, più tutta la narrazione che ci ha portati a conoscere Alessandra e Matteo, le loro famiglie di origine, e poi la piccola Sofia, figlia voluta e incredibilmente intelligente, fino a Lorenzo, la “delusione” della famiglia, ci dimostra che dietro la pacatezza di Matteo, ad esempio, si nascondeva una concezione del suo ruolo paterno e di coppia sì nuovo, ma ancora troppo legato ai vecchi schemi di una società gerarchizzata, al massimo da scalfire, ma non da distruggere.
Alessandra, da parte sua, vive la sua giovinezza nella frustrazione di non sentirsi amata, nella delusione di non avere una famiglia rigida come la sua morale. Alessandra si vergogna dei suoi genitori, tabaccai napoletani che hanno avuto il loro momento di gloria durante alcune puntate del Maurizio Costanzo Show. Alessandra è rigida e si lascia trasportare con difficoltà nella nuova relazione col più innamorato e sciolto Matteo, novello medico e pertanto socialmente facoltoso. Matteo, per Alessandra, è la scommessa di una vita agiata lontana dal loro sud, dal loro passato. Roma, la città dove vivono e si conoscono i due amanti, è la promessa di una vita in ascesa, e la sola idea di ritornare nella città di origine di Matteo, Cosenza, per comodità lavorative, per una vita dai tempi più dilatati e sostenibili, è solo la prima sconfitta che Alessandra sente di dover mandare giù, per Matteo e per la piccola Sofia.
È Sofia il centro di tutto: la primogenita voluta, amata ma anche spaventosa creatura che sembra vampirizzare la vita di Alessandra, che la accudisce da sola e che da lei si sente rifiutata. Ma Sofia ama i genitori, il padre in primis; con la madre ci sarà un lungo avvicinamento, sempre scricchiolante, ma che alla fine si trasformerà in totale amore e adorazione. Sofia, Matteo e Alessandra formeranno una triade inattaccabile.
È Lorenzo, il nostro narratore, a raccontarci le origini della sua famiglia, a sottolineare i momenti delicati e quelli nevrotici, a delineare una geografia di rinunce che si bilanciano fino a formare un organismo nel quale è difficile penetrare. Alessandra non vuole che nessuno frequenti casa loro, così come non vuole che Sofia si confidi con gli estranei. Tutto deve restare in famiglia. Ecco che allora, da un iniziale tenore romantico, i buoni sentimenti si avviano verso una dinamica disfunzionale nella quale vengono accolti con naturalezza fino a creare un grumo di insoddisfazione e nevrosi.
Il solo a disinnescare questa scatola esplosiva di conformismo e manipolazione genitoriale, è l’ultimo arrivato, il regalo che i genitori vogliono fare a Sofia, un fratellino con cui poter condividere la sua vita gioiosa. Ma Lorenzo non è quello che ci si aspettava, e il sogno folle crolla davanti ai risultati, prima scolastici del ragazzino che non rende quanto dovrebbe, immobilizzato nei suoi sogni di artista in erba.
Lorenzo, che per narrare la sua storia personale ha bisogno di pagine e pagine di narrazione delle vite degli altri, della formazione di una famiglia come tante che attraversa gli anni concentrandosi a mantenere una dignità economica piuttosto che lasciar vivere, sbagliare e sognare i propri componenti.
Dove siamo stati bene, è dunque un romanzo su una famiglia disfunzionale, raccontata con uno stile che sembra volerci rendere amorevoli i protagonisti narrati, ma che ad un certo punto, smembra la presunta felicità a partire dal rifiuto del concetto di morte. Rifiutare la mortalità, così presente in sottotraccia nell’intero romanzo, significa rifiutare la vita per quella che è. Per questo nasce la nevrosi e il serrato controllo, specialmente della madre, Alessandra, verso la figlia Sofia, che deve essere ai suoi occhi come una copia della perfezione che lei crede essere.
Dove siamo stati bene, come dicevamo, possiamo intenderla come una domanda. In che momento della nostra vita familiare siamo stati felici? E quando lo eravamo, era una felicità autentica o sorretta dalle sovrastrutture che ci chiedeva la società in cui vivevamo?
Edelweiss Ripoli sa misurare le parole, dipana con semplicità i periodi e riesce a illuderci che una famiglia possa bastare a se stessa, fino a quando non inserisce l’elemento alieno, quel Lorenzo, artista in erba, sognatore, colui che accetta la vita e la morte.
Giovanni Canadè