Il tritacarne – Un racconto inedito di Elena Ramella

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Questa settimana diamo spazio a “Il tritacarne” di Elena Ramella

 


(Le lacrime di Freyja, Anne Marie Zilberman)

 

Lasciò che il pesante portone di legno si chiudesse alle sue spalle. Il vento freddo che prometteva neve le colpì la faccia e le fece bruciare gli occhi. La luce era gelida, grigia e azzurra. Era la luce di un pomeriggio di fine gennaio, che cadeva obliqua sulla piazza dove gli spazzini stavano ripulendo via i resti del mercato del mattino. Camminò alla cieca senza trovare una vera direzione: era vuota e leggera allo stesso tempo, un po’ acciaccata e dolorante, “come se fossi passata in un tritacarne”, avrebbe detto sua madre.

Non si era resa conto di quanto avesse bisogno della psicoterapia fino a quando non era uscita dallo studio al primo piano di un elegante palazzo del centro, e aveva lasciato il pesante portone di legno chiudersi alle sue spalle.

Si era seduta sulla poltrona, aveva guardato la donna che aveva davanti e che le sorrideva in maniera incoraggiante, aveva visto con la coda dell’occhio una scatola di Kleenex sul tavolino tra di loro, aveva respirato a fondo e aveva iniziato a parlare. Raccontando, aveva rivissuto tutto quanto. Raccontare era rivivere. Lì, in una stanza, tra quattro pareti, con un tappeto sotto alle scarpe e dei libri sugli scaffali davanti agli occhi, era successo di nuovo tutto, tutto quello che era successo in spazi infiniti, senza confini, tra le strade, sui marciapiedi, davanti ai semafori. A volte basta trovarsi in una situazione simile, o ricreare, nella propria mente, una situazione simile, per rivivere tutta l’ansia, tutta la paura, tutta l’angoscia. Il presente era diverso dal passato, eppure in quel momento le sembrava impossibile riuscire a distinguerli; il tempo non esisteva più. Era stata risucchiata, smembrata, ricomposta in quello che era stata, quella volta, quella volta là, tot anni fa, non importa quanto tempo fosse passato. Per un attimo il passato aveva rivissuto dentro al suo corpo.

Dov’è il punto in cui si incrocia tutto? Dentro all’intreccio la rete si ricompone, tutto si assomiglia terribilmente.

Aveva lasciato che le domande e le interpretazioni della donna seduta davanti a lei rimettessero in questione tutto quello che aveva vissuto. Aveva preso un Kleenex, si era soffiata il naso, aveva incrociato le gambe: poteva essere. Poteva essere così come diceva lei. Era possibile. Non esisteva una sola interpretazione allora. Ogni cosa poteva essere vista dal suo dritto e dal suo rovescio, e da altre mille angolature. Forse. Forse. Forse, magari. Magari. Era quello il ritmo del tritacarne. E se, e se, e se. Pezzettini di carne sul tappeto tra di loro.

“Come li rimetterò insieme, tutti questi pezzettini?”, si era chiesta guardando lo scempio ai suoi piedi. “Come possiamo rimontarli nella maniera giusta, nella maniera in cui non facciano più male?”

Imparò così che ci vogliono un po’ di minuti, un po’ di mezz’ore, dopo ogni seduta, per rimettersi insieme alla bell’e meglio; si entra a pezzi, ma bene o male composti, poi ci si scompone, sempre di più, fino a dove si riesce ad arrivare, fino a dove si ha paura, e si esce a pezzi, ma con dei pezzi e degli incastri diversi.

“L’integrità non esiste”, si disse. “È uno stato non contemplato, almeno per me. Ma forse non esiste davvero per nessuno.”

Sarebbe tornata la settimana successiva, stesso giorno, stessa ora, stessa poltrona, pronta ad avere di nuovo paura, pronta a lasciarsi di nuovo cadere, per farsi di nuovo male, e lasciare a qualcun altro il compito di raccoglierla.

 

Il tritacarne (c) 2019 Elena Ramella

Elena Ramella (1995), studia Lettere all’Università di Torino. Ha trascorso un anno in Francia per studio e ha conseguito la laurea in Culture e Letterature del Mondo Moderno. Appassionata lettrice, nel 2015 ha pubblicato la raccolta di racconti Lettere della notte, Edizioni LaGru, e il romanzo breve Melograno, Edizioni Echos, nel 2016. Da un paio di anni collabora con riviste online scrivendo racconti.

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