La ragazza di Marsiglia, scritto da Maria Attanasio e pubblicato da Sellerio, racconta la storia vera di Rosalia Montmasson, unica donna a partecipare all’impresa dei Mille, sposa per vent’anni di Francesco Crispi e infine da lui ripudiata e dimenticata dalla storia.
Alba Battista ha intervistato per noi l’autrice Maria Attanasio.
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Prezioso e puntuale come un romanzo storico, appassionante e avvincente come un romanzo d’amore, il libro in questione è La ragazza di Marsiglia, uno di quei Sellerio che una profetica libraia ti fa scivolare tra le mani, come un prezioso passaggio d’intesa. E così è.
Subito dopo averlo letto, il desiderio forte di parlarne con l’autrice. Lei è Maria Attanasio (su di lei, consiglio la biografia tracciata qui: http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/maria-attanasio/), siciliana, dalla bibliografia ricchissima, così come gli incontri che hanno segnato il suo lavoro.
La storia (vera!) di Rosalìe Montmasson, unica donna imbarcatasi da Genova verso Marsala sulle navi di Garibaldi, s’intreccia con l’invenzione narrativa in una straordinaria combinazione di generi raggiungendo un risultato gustosissimo per il lettore.
La chiave, secondo l’autrice, è nello Stile.
“Per me, senza lo stile non esiste la scrittura – ci spiega –. Provengo dalla poesia, sono capace di perdere una settimana su un aggettivo, se metterlo prima o dopo un nome”.
In un passaggio del romanzo, abbiamo in effetti colto questo tratto autobiografico dell’autrice: lumaca e penolope: “L’arte è acqua che percia la pietra e il buio per arrivare alla luce della forma (…). Forse con un po’ di umiltà, di accettazione dei propri limiti…Tornava perciò a riprovarci” (p.309).
“La poesia per me è il linguaggio fondamentale. La scrittura narrativa e quella poetica sono due generi che richiedono modalità espressive diverse. Nella poesia c’è un rapporto con la parola di assoluta libertà, non c’è niente che mi vincoli, non c’è editore, neanche pubblico, nulla che possa condizionarmi; nella narrazione, invece, c’è una limitazione: è il rispetto alla fedeltà del personaggio, alla storia che devi raccontare; resta valida, però, la stessa ricerca della parola.
Per me la scrittura è esperienza di verità e parola di libertà, qualsiasi scrittura, se non ci sono queste due cose, non è”.
Ed è proprio l’attenzione alla parola, al renderla ampia, polisemica, rispettando insieme la Storia, che fa de La ragazza di Marsiglia, una lettura originale.
Maria Attanasio ci racconta di aver impiegato sette anni per scriverlo, tra ricerche, indizi, tracce, tutte raccontate nell’appendice. Nelle ultime pagine troviamo un vero e proprio saggio su come scrivere un romanzo storico, un’indicazione di metodo, oltre al racconto minuzioso di come sia riuscita a restituire una vita a Rosalìe, personaggio trasparente e caduto nell’oblio per volere dell’uomo che la rinnegò come sposa, Francesco Crispi.
“Tutti i miei personaggi vengono a me improvvisamente, li incontro, magari mentre leggo un saggio o un articolo di storia locale o altro, e trovo una persona – più che un personaggio – (quasi tutte donne e non è un fatto ideologico) che si insedia dentro di me e vuol essere per forza raccontato.
E io che posso fare? Solo raccontare! Con Rosalìe è andata così, dovevo cercarla e scriverla per restituirle l’esistenza storica vera. Per farlo, ho inventato il meno possibile.
Ho insegnato storia e filosofia, sono da sempre lettrice attenta di manuali e libri storici, in tante letture non avevo mai sentito parlare di una donna tra i Mille, come era possibile? Terribile questa cancellazione così radicale! Un fatto eclatante, soprattutto se pensiamo che nel periodo in cui visse, negli anni ‘50 e ‘60, era la rappresentante femminile del Risorgimento, l’unica donna imbarcatasi, l’unica che ebbe la medaglia dei Mille e la pensione come gli altri”.
Dalle pagine del libro, esce fuori un Crispi che non ti aspetti, dall’oscuro privato e dalla discutibile vita pubblica, tra tradimenti politici e ideologici, che ad un certo punto fu addirittura bigamo, padre di figli illegittimi, ripudiò la donna fedele, la compagna di vita che lo sostenne nei momenti più difficili degli inizi senza mezzi né sicurezze, tutto per salvarsi la pelle (e la poltrona).
“Fu un’unione fatale la loro, quelle in cui il pensiero e l’azione, l’amore e il modo di vedere il mondo coincidono e si lotta insieme, quando questo comincia a creparsi cominciano i loro problemi.
Rosalìe rimarrà per sempre repubblicana, Crispi si convertirà al governo Rattazzi, autorizzando la sanguinosa repressione in Sicilia, dove farà sparare su contadini e zolfatari”.
Un tradimento alla sua donna, alla sua idea di lotta e anche alla sua terra. Il romanzo ci narra del forte intreccio tra amore e impegno, ma restituisce anche un’altra lettura del Risorgimento meridionale.
“Cercando Rosalìe ho trovato anche questo, una lettura che passa sotto silenzio. Si pensa sempre a Cavour, il tessitore, ai garibaldini, ma si tace sul contributo dei mazziniani e dei democratici che si misero in movimento dalla Sicilia e dal Sud in generale. Non sono state mille e ottantanove persone a conquistare un Regno, l’unità del Paese fu possibile perché attorno a loro c’era un esercito di quarantamila persone, di volontari, che risalirono tutta la penisola dalla Sicilia fino a Teano, radunate e mobilitate sulla base di promesse di un cambiamento sociale e anche istituzionale, spinti dalle idee di Mazzini che in tutto il sud Italia erano diffusissime.
Un fatto passato sotto silenzio perché deve passare una traduzione della storia sabauda e conservatrice, è lì invece che inizia la questione meridionale arrivata fino a noi”.
Un Risorgimento tradito, dunque, almeno per il Mezzogiorno.
In appendice, l’autrice svela quali sono gli episodi di invenzione, così ben cesellati da non tradire la veridicità dei fatti, perché, ci spiega: “Uno scrittore attribuisce emozioni, movimenti, ad un personaggio dovuti a un fatto, poi gli tocca trasformare il dato della storia, in un dato di vissuto, in una dimensione anche emotiva”.
È tra le pagine finali che Maria Attanasio, restituisce l’immagine di Rosalìe attraverso il racconto della riproduzione in gesso del suo busto, voluto da Crispi, e forgiato da un artista di origini siciliane.
Adesso, per una serie di vie traverse, quel busto è proprio lì, a Caltagirone, dove l’autrice vive e lavora, ma c’è una storia inedita intorno a questa scultura che la Attanasio ci racconta in anteprima:
“All’uscita de La ragazza di Marsiglia, una lettrice mi segnalò la presenza di una versione in marmo del busto di Rosalìe a Pisa, utilizzato nell’ufficio elettorale del Comune come cappelliera e appendiabiti. Ancora una volta, dunque, quella donna subiva un atto denigratorio alla memoria, se vogliamo.
La lettrice pisana, pose all’attenzione del Comune la cosa fino ad arrivare ad organizzare una ricollocazione ufficiale e più degna della scultura, ora posata nell’atrio del palazzo comunale di fianco alla carrozza di Garibaldi. Ospite durante la cerimonia, un signore anzianissimo, ex bibliotecario comunale, si avvicina e mi svela come quella Rosalìe in marmo fosse arrivata a Pisa: egli stesso negli anni ‘50 scrisse ai parenti della Montmasson, ancora oggi residenti a Lucca, venne a sapere che quel busto venne donato nel 1927 dagli eredi di Joseph, nipote di Rosalìe, e che insieme, venne donato anche quello di Francesco Crispi.
Crispi in persona aveva affidato se stesso-statua proprio a lei! Non alla sua (seconda) moglie, non a sua figlia, non a un museo ma a Rosalìe, la donna che ha ripudiato, disconosciuto e tradito, come sigillo totale di questo loro legame.
Un amore rivale, contorto, un rapporto complesso e difficile da scindere, un legame minacciato e sotterrato, che torna alla luce grazie alla penna di una scrittrice poeta, grazie all’acume e alla sensibilità di Maria Attanasio.
Alba Battista