In appendice alla recensione di Se scorre il sangue, la nuova raccolta di Stephen King, vogliamo riproporvi un estratto da “Lo scrittore in pericolo”, una breve analisi di Giovanni Canadè sulla figura dello scrittore in alcuni romanzi di Stephen King. Ai romanzi citati aggiungiamo qualche parola in più su “Ratto”, il racconto che conclude Se scorre il sangue.
L’intervento completo di Giovanni Canadè, tenuto nel 2017 alla libreria Feltrinelli di Cosenza e organizzato dall’associazione letteraria Nucleo Kubla Khan, potete leggerlo qui.
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L’incontro proposto non si pone come esame critico dei testi, ma da spunto di riflessione sulla metafora del ruolo dello scrittore nell’odierna “società dello spettacolo” e del suo rapporto coi propri lettori-aguzzini.
Stephen King ha rappresentato e rappresenta uno dei pochi scrittori che ha narrato la paura e l’insostenibile tensione del quotidiano, dell’infanzia e del mondo adulto, senza tema di commistioni tra i linguaggi esclusivamente pop e quelli più “alti”: in King, infatti, è profonda l’influenza dei classici scrittori americani, da Hawthorne a Henry James, da William Somerset Maughama Raymond Carver a Flannery O’Connor fino all’amatissima maestra di tensione Shirley Jackson. Ripetiamo, King non ha bisogno d’essere giustificato o nobilitato: lo storico snobismo critico verso l’autore più ricco e famoso del mondo viene a collidere contro la sua straordinaria produzione non solo quantitativa ma anche qualitativa.
Avremmo potuto analizzare molti degli svariati temi presenti nella sua produzione, ma ne avremmo ricavato materiale per più dʼun incontro. Da parte nostra, ripetiamo che il nostro approccio è del tutto improntato alla passione da lettori verso un grande narratore, unico e impossibile da replicare.
Spesso i protagonisti dei romanzi di Stephen King sono scrittori, a partire dal Jack Torrance di Shining del 1977. Scrittori in crisi: in pieno blocco dello scrittore, preda dei propri demoni interiori, in crisi esistenziale, in lotta con il proprio alter ego.
Abbiamo rivolto la nostra attenzione a tre titoli che lo stesso King – nell’introduzione a Finestra segreta, giardino segreto, racconto lungo incluso nella raccolta del 1990 Quattro dopo mezzanotte – ha considerato come una sorta di trilogia “sugli scrittori e la scrittura e quella strana terra di nessuno che esiste fra ciò che è reale e ciò che è frutto della fantasia”. Oltre al racconto appena citato, gli altri titoli presi in considerazione sono Misery (1987) e La metà oscura (1989).
I protagonisti di questi romanzi sono, appunto, scrittori in pericolo di vita. A minacciarli, in un caso, è la loro più grande ammiratrice: in Misery, infatti, Paul Sheldon, famoso scrittore di romanzi rosa da lui stesso odiati ma fonte di grande reddito, esce di strada con la sua auto durante una tempesta di neve. A salvargli la vita è un’infermiera, Annie Wilkes, donna imponente e pericolosa. Annie, “fan numero uno” di Sheldon e della saga di Misery Chastain, cura lo scrittore nella sua casa sperduta di campagna; non avverte i soccorsi e tiene Paul chiuso in una stanza, impossibilitato a muoversi a causa delle dolorose fratture multiple che l’infermiera cura con dosi massicce di Novril, medicinale a base di codeina che lo stordiscono per la maggior parte della giornata.
Paul, poco prima dell’incidente, aveva terminato il suo primo vero romanzo, Bolidi, una storia realista ambientata tra ragazzi di strada; ma Annie, “stupida lettrice” seriale, non accetta questa svolta, come non accetta la scoperta della morte del suo personaggio preferito, Misery nell’ultimo titolo della saga Il figlio di Misery. Annie, sempre più scopertamente psicotica, costringerà Paul a scrivere il ritorno della bella Misery, ma alle proprie condizioni. Lo scrittore seriale Paul Sheldon sarà letteralmente in mano al suo pubblico “di bocca buona”, lui stesso macchina da scrivere, senza identità, costretto a sfornare parole su parole. Ogni sbaglio verrà punito con amputazioni, fatto a pezzi non più metaforicamente. Paul, cosciente che dalle mani della psicopatica infermiera che in passato fu accusato d’aver ucciso numerosi pazienti, tra cui molti bambini, sa che non potrà uscirne vivo; allora diverrà lo Shahrazad di se stesso, scrivendo pagine su pagine per non morire. La conclusione però arriverà: Paul fingerà di distruggere Il ritorno di Misery come atto di rivolta e, nella colluttazione che ne seguirà riuscirà a ucciderla. L’epilogo vedrà un sopravvissuto Paul Sheldon dare alle stampe il frutto di quella prigionia che, anche sotto costrizione, sarà diventato un ottimo romanzo, il migliore della serie. A Paul verrà proposto di scrivere della sua avventura appena conclusa; ma scrivere di realtà, dopo quella terribile avventura, sarà troppo doloroso. Paul finirà preda di lunghi mesi di sconforto e dolore, fino a che, quasi per caso, un giorno si troverà a scrivere cinque righe, cinque righe di pura fantasia. Ecco che l’immaginazione, la finzione, è rinata. E l’unica reazione possibile sarà un lungo pianto liberatorio.
Nel 1989 King ritorna ancora sulla metafora dello scrittore e della sua controparte. Questa volta, prendendo spunto da alcuni eventi della sua biografia, King racconta la storia di uno scrittore costretto a rivelare il suo doppio letterario. Tad Beaumont, scrittore di romanzi “seri” di discreto successo accademico, ha scritto per anni romanzacci di inusitata crudezza sotto lo pseudonimo di Richard Stark. Al fine di evitare che uno studente di un suo corso di scrittura lo ricatti per non divulgare la notizia, Tad decide di fare la prima mossa e dichiararsi alla stampa. Questo segnerà la fine dei romanzi di Stark. Ma ecco che il suo alias prende realmente vita. La metafora si fa carne: Stark non vuole morire, Stark vuole continuare a vivere/scrivere. Ricordiamo che lo stesso capitò a King, che per anni scrisse sotto lo pseudonimo di Richard Bachman, ma venne scoperto e dovette rinunciare alla sua identità nascosta. Stark e Beaumont dovranno lottare affinché ne resti in vita uno solo. Lo Scrittore dovrà combattere contro se stesso, e in ogni caso ciò segnerà la morte di un pezzo importante della propria identità.
Identità frammentata anche nel racconto lungo Finestra segreta, giardino segreto, che vede in scena una delle grandi paure degli scrittori: l’accusa di plagio. In questo caso, Morton Rainey farà la conoscenza dello sconosciuto John Shooter. Morton si troverà coinvolto in una serie di eventi che lo colpiranno personalmente, ma di cui, si scoprirà, il vero responsabile sarà lo stesso Morton, personalità divisa in una parte pubblica e corretta e in quella psicotica di Shooter. La mente malata di Morton ha infatti creato questo personaggio fittizio. Morton sarà in pericolo e metterà in pericolo i suoi cari a causa del suo Io diviso, frammentato e sconosciuto. Forse un modo per punire se stesso e il suo successo?
I romanzi di cui abbiamo appena parlato hanno segnato dei punti fondamentali nell’immaginario comune, e la letteratura, il cinema e il fumetto non hanno fatto che riscriverli di continuo. Chiara e profonda è la metafora di King, realizzata col linguaggio del genere horror che riesce a far penetrare più a fondo il messaggio.
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L’analisi di tutte le figure di scrittori protagonisti delle pagine di Stephen King occuperebbe molte pagine, per questo abbiamo preferito selezionare una minima parte della sua produzione.
Oltre ai già proposti, aggiungiamo alla lista Drew Larson, protagonista del racconto “Ratto”, incluso in Se scorre il sangue (If it bleeds, Sperling&Kupfer, 2020).
Drew Larson non aspira a diventare un grande e immortale scrittore, vuole solo riuscire, almeno una volta nella vita, a terminare la scrittura di un romanzo.
Drew ha pubblicato su riviste prestigiose, tra cui il New Yorker, è un bravo insegnante, ma ha questo tarlo che lo rode e che non lo fa vivere tranquillamente.
Un giorno ha la visione di una storia che si sviluppa in tutti i passaggi. Non gli resta che scriverla come sotto dettatura. Ma per farlo deve isolarsi, altrimenti finirà come la volta precedente, in cui non è riuscito a terminare il suo romanzo alla Updike, e ha finito per dare quasi fuoco alla casa.
Avventurarsi in questa avventura rischia di mettere di nuovo a rischio il suo rapporto con sua moglie Lucy, ma la posta in gioco per Drew è alta.
Isolato in una baita sperduta nel bosco, già usata per le vacanze di famiglia, Drew inizia a scrivere il suo romanzo con estrema facilità. La storia è di ambientazione western, quasi un omaggio agli scrittori della sua gioventù; ma ecco che a un certo punto qualcosa comincia a scricchiolare e le parole vengono meno. Mentre si avvicina un temporale che lo terrà fuori dal mondo per un paio di giorni, qualcuno gli si avvicinerà per proporgli uno strano patto.
In “Ratto” la Natura è minacciosa e cattiva, la bellezza nasconde un cuore misterioso. Il legno, gli alberi, il vento: come viene affermato in Antichrist di Lars Von Trier, “La Natura è la Chiesa di Satana”. E gli animali sono i suoi emissari. Così, il topo del titolo, come la strega del racconto di H. P. Lovecraft, parla allo scrittore mentre si trova in uno stato di veglia e sonno: è davvero il topo a parlare e proporre il patto, o il ratto è la proiezione degli spettri che da sempre animano le menti degli scrittori kinghiani, a cominciare dal ben famoso e tormentato Jack Torrance di Shining.
Boschi e allucinazioni, l’abbiamo visto più sopra, li abbiamo trovati in “Finestra segreta, giardino segreto” contenuto in Quattro dopo mezzanotte (1990), ma rispetto all’avventura dell’allucinato Mort Rainey, Drew Larson si inoltra nel bosco per una solitaria lotta per salvare se stesso e quello che sarà.
Rischiare la vita, propria o di un altro, per completare il romanzo oppure abbandonare il progetto e ritirarsi, sconfitto, nella solita vita da insegnante?
Scrivere è una lotta con il Male.
Scrivere, creare mondi, è sottrarre la vita all’oscurità.
“Ratto” è un racconto godibile e cattivo, una “fiaba nera”, come la definisce lo stesso King.
“Ratto”, con la sua linearità, riprende luoghi e personaggi già visti ma non solo: l’illusione che ci tiene in vita, i mondi che abbiamo nelle nostre menti vanno foraggiati, altrimenti ci resta solo da confrontarci con la vita nuda, con la prospettiva della morte, della fine, della solitudine eterna.
Come nelle Totentanz medievali, dobbiamo ballare con la morte.
Giovanni Canadè