Sui social network ci si può imbattere in opinioni tristi, come questa, di un uomo: “Gita al faro è un romanzo bellissimo. Non posso credere sia stato scritto da una donna”. Domanda spontanea: le donne non sono in grado di scrivere romanzi? Statisticamente, fin da bambine, sono “lettori forti”, più degli uomini, pertanto, in misura maggiore, determinano le classifiche di vendita dei prodotti librari. La lista dei 100 titoli, di narrativa italiana e straniera, venduti dal portale Ibs nel 2017, contiene solo 24 testi a firma femminile – senza contare i più volumi della saga de L’amica geniale di Elena Ferrante, la cui identità è avvolta dal mistero. Se, dunque, le donne leggono più degli uomini e se vendono più libri i romanzieri di sesso maschile, allora anche le donne preferiscono leggere autori del sesso opposto? O gli uomini, che già leggono poco, non leggono donne che, perciò, vendono meno libri? Perfino negli albi dei vincitori di due premi letterari come lo Strega e il Campiello esigue sono le vincitrici. Del resto, commenti simili a quello riportato sopra si leggono e sentono spesso ed è preoccupante riscontrare come siano sempre più numerosi, anche se non predominanti. Molti sono gli uomini che, nel fare riferimento alle proprie letture, citano soprattutto autori di sesso maschile, ed ecco elenchi di Camilleri, De Giovanni, Dan Brown, Follett, Carrisi.
Pochi sono i lettori che annoverano le scrittrici tra le letture ricorrenti. Ciò che sconvolge leggendo tali opinioni non è la quasi totale assenza di nomi femminili nella lista dei preferiti, ma le motivazioni che sottendono tale esclusione. Convinzione diffusa tra i lettori è che le scrittrici siano da evitare perché scrivano solo d’amore e di quel corollario di sentimenti e vicissitudini che comporta: seduzione e abbandono, sofferenza e vendetta, figli e famiglia, come se la letteratura scritta dalle donne fosse destinata solo alle donne stesse e condannata a essere letta in una dimensione tutta al femminile da cui gli uomini siano esclusi, non adatti a leziosità di linguaggio e sdolcinatezze stilistiche. “Stucchevoli”, “ridondanti”, “inclassificabili”, “smania dell’aggettivo”, “robaccia in cui sfogate la vostra futile lamentosità”, “la letteratura è altro”, “voci vaginali”: sono solo alcuni dei commenti postati da utenti sui social a proposito di testi scritti da donne.
Esiste una “letteratura al femminile”, ma una simile definizione è fraintendibile, oltre che pretesto di spregiative etichette. I manuali di storiografia letteraria la definiscono come un risultato della maggiore autonomia ed emancipazione delle donne di secondo Novecento che, per gradi, si avvicinarono alla scrittura come professione. Queste autrici, dedicatesi in particolare alla narrativa, declinandola perlopiù nel filone del realismo, hanno scritto romanzi che propongono un punto di vista femminile nuovo, prestando particolare attenzione all’introspezione psicologica e alla rappresentazione di scorci sociali e familiari. Tuttavia, sembra che questa definizione di letteratura al femminile abbia perso significato, alimentando un pregiudizio ormai radicato contro le donne scrittrici: basta affacciarsi nel reparto dedicato di una libreria. Nelle sezioni dei romanzi rosa – senza distinzioni di qualità – s’incontrano autrici e lettrici. Non è raro imbattersi anche in autori, tra tutti Nicholas Sparks che, però, ci tiene a sottolineare la differenza tra love story e romance novel, perché non lo si tacci di scrivere romanzi per femmine. In ogni caso, sembra che la tendenza generale sia quella di distinguere una letteratura maschile da una femminile. In questa direzione pare sia andata l’iniziativa editoriale di una casa editrice italiana, la quale promosse la pubblicazione di due miscellanee di romanzi: I magnifici 7 capolavori della letteratura per ragazze e il corrispettivo maschile. Senza contare i casi, contemporanei, di autrici costrette a celare il proprio nome: J. K. Rowling, ad esempio. Le fu chiesto dall’editore di usare uno pseudonimo, per scongiurare la difficoltà del pubblico nell’accettare una donna come creatrice di un testo fantastico per ragazzi.
In ogni caso, di rado uomini si avventurano nel reparto dei “romanzi rosa”. I lettori evitano le autrici, saldi nella convinzione che le loro narrazioni riguardino solo l’amore… come se fosse riprovevole. Molte opere della letteratura mondiale, in ogni epoca, raccontano l’amore, esplorato più o meno a fondo, declinato nelle sue molteplici forme. Parlare d’amore, in ciascuna delle sue varianti, non compromette l’impegno e la qualità di un testo né vieta che altri motivi dell’esistenza umana possano essere delineati ed esaminati. È da smentire la credenza che le donne scrivano soltanto di sentimenti e che gli uomini non sappiano e non vogliano scrivere d’amore. L’Iliade pone la scintilla del sanguinoso conflitto troiano nell’amore per una donna bellissima sottratta al marito. Uno dei personaggi memorabili tratteggiati da Virgilio nell’Eneide è Didone che, disperata d’amore non corrisposto da Enea, destinato a un’impresa universale, si dà alla morte. Nella Commedia Dante riflette sul libero arbitrio, ovvero la capacità innata di amare, che può volgere al bene oppure al male. La colpa delle autrici è che scrivano solo romanzi d’amore, che ai lettori non piacciono, ma gli uomini non ne sono in grado? Grandi narrazioni di grandi autori, pur raccontando le guerre, il potere, le ambizioni, i malesseri, non sfuggono all’amore. Guerra e pace, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Il grande Gatsby sono capolavori della letteratura moderna, scritti da penne di uomini, capaci di dipingere un affresco vivido e imponente delle società e delle vite che narrano, non timorosi di scavare nelle pieghe degli animi, non schivi di fronte alla limpida rappresentazione di rapporti amorosi e passioni. Gli scrittori non solo sanno e scrivono d’amore – filiale, ricambiato, sbagliato, perduto o mai iniziato – ma sono attenti scrutatori dell’animo umano, anche e soprattutto quello femminile. La letteratura, antica e moderna, abbonda di personaggi femminili, anche nei romanzi di autori, con il pregio di ritrarre in maniera magistrale affanni e turbamenti di donne rimaste iconiche, nella storia e nell’immaginario.
Anna Karenina è ricordata come eroina tragica, coraggiosa, segnata da un destino d’infedeltà che, però, non fa di lei un’adultera senza cognizione, ma una donna fragile, invischiata in incertezze, che la distolgono dall’impegno di una reale felicità, consegnandola a un epilogo crudele. Isabel Archer è una giovane donna benestante, testarda, che brama conoscere il mondo, ma più di tutto aspira alla libertà; un’indomita eppure ingenua che, costretta ad affrontare un destino figlio di scelte proprie, non può che rassegnarsi all’infelicità, scegliendo di inchinarsi alla propria responsabilità. Emma Bovary antieroina romantica, vive d’illusioni, nutrita da romanzi che desidera siano vita, restia ad adattarsi a un’esistenza che non accoglie il suo respiro, su cui s’abbatte la ferocia di una realtà che non è in grado di sopportare, risucchiata dalle sue speranze e dalla responsabilità che ha attirato su di sé manipolando il proprio destino con il tradimento. Anna, Isabel, Emma: tre personaggi femminili imponenti per quanto fragili, impercettibilmente legate da un motivo che le rende simili, quello di destini infelici accolti senza un battito di ciglia. Tre capolavori della letteratura che hanno come protagoniste tre donne. Ed è l’amore che permea le pagine di questi romanzi, un amore manchevole, rincorso, desiderato. Sofferente. Addirittura, in molte pagine di Ritratto di signora, James, con la precisione di uno psicanalista, indugia sulle riflessioni notturne della protagonista, sondandone con delicata profondità pensieri e turbamenti. Eppure, nessuno definirebbe Tolstoj, James e Flaubert autori di romanzi rosa. Quale meccanismo si è inceppato, in un lasso di tempo così modesto, perché questi scrittori siano considerati grandi e autrici donne non possano avere lo stesso riconoscimento?
Esemplare, in tal senso, la figura di Jane Austen. Scrittrice inglese del XIX secolo, è nota per i suoi romanzi, da molti considerati “per femmine”, pur riconoscendone un certo valore letterario. La ragione di questa etichetta risiede in quella che è la struttura base delle narrazioni, ambientate in residenze della campagna inglese: protagoniste sono giovani donne dell’aristocrazia e alta borghesia di primo Ottocento, che s’innamorano di uomini che non possono sposare, per ostacoli familiari o ragioni economiche. Solo poi, sciolti gl’impedimenti e placati i dilemmi d’animo, le storie volgono al lieto fine. Un lettore superficiale si limita a considerare quelli di Jane Austen “romanzi rosa”, perché raccontano di donne che s’innamorano e infine si sposano. In realtà, si tratta di narrazioni più complesse che non sconfinano nel romanticismo fine a se stesso, ma restano ancorate a un sottile realismo. Caratteristica che percorre la narrativa austeniana, è l’ironia con la quale delinea in maniera puntuale e non leziosa i rapporti, umani e sociali, tra i personaggi. Persuasione, Emma e gli altri offrono uno scorcio della società inglese al tempo della Austen: le protagoniste sono donne dell’alta società le cui aspirazioni erano già tracciate lungo un percorso prescelto dalle famiglie e in cui, all’educazione alle buone maniere, non poteva che seguire la ricerca di un uomo da sposare, per non incorrere nella solitudine perpetua.
Con sagacia e ironia, la scrittrice dipinge i malintesi che scaturiscono da pensieri e sentimenti taciuti da donne alle quali non era concesso di esprimersi in libertà, quelle stesse qualità che ella adopera per dar vita a un personaggio di spessore e denso di realismo, quale Elizabeth Bennet, così intelligente, ironica e sensibile, da sembrare solo una figlia lontana del suo tempo. E se resiste la convinzione che la Austen scriva romanzi “da femmine”, una curiosità la scoraggi: i suoi primi ammiratori furono uomini. The Janeites è il titolo di un racconto di Rudyard Kipling, autore de Il libro della giungla. L’uomo, già appassionato dei romanzi austeniani, perso un figlio in guerra, trovò conforto, per sé e il resto della famiglia, proprio nella lettura delle sue opere. Il racconto citato è un omaggio devoto a due amori di Kipling, il figlio e l’autrice, nella speranza che la lettura fosse un sollievo per i soldati in trincea, come lo era per il suo dolore. La narrazione, infatti, ruota intorno a dei reduci della Prima Guerra Mondiale, uniti dalla passione per la scrittrice di Steventon, che ricordano come, durante i momenti nelle trincee, proprio la venerazione per l’autrice permise loro di sopravvivere, facendoli sentire quasi parte di una società segreta. Nei primi anni del Novecento i frequentatori di club maschili inglesi erano dichiarati estimatori della Austen, annoverata tra i maggiori scrittori della letteratura inglese, al pari di colleghi uomini e il Janeitism era da intendersi come un entusiasmo tutto al maschile, condiviso da editori e accademici, affascinati dall’umorismo impertinente della Austen e dal realismo delle sue opere. Il termine indica pertanto un idolatrico fervore per Jane, tale da ideare un legame ideale, per certi aspetti affettivo, con la scrittrice e donna. Fu coniato proprio da un uomo, George Saintsbury, curatore di un’edizione di Orgoglio e pregiudizio del 1894, che plasmò il nome della narratrice, rendendolo una categoria linguistica con un preciso significato.
È nella prima metà del secolo scorso, però, con la progressiva canonizzazione dei romanzi della Austen, che il termine Janeitism ha iniziato ad assumere una connotazione lontana da quella originale e votata allo sprezzo, radicalizzando la componente emotiva dell’ammirazione e identificando gli appassionati con i fanatici, restringendo tale categoria perlopiù a individui di sesso femminile. Perciò, se un tempo estimatori della Austen erano soprattutto uomini, perché oggi, spesso, i suoi sono definiti “romanzi per femmine”? Ridurre le sue storie a banali vicissitudini che precedono le nozze solo perché l’autrice è donna e, perciò, sentimentale è sinonimo di superficialità. Talvolta, anzi, gli uomini sono narratori ancora più interessati e sensibili rispetto alle storie di matrimoni e ai rapporti di coppia e non temono di posare l’attenzione sui risvolti psicologici dei legami affettivi tra esseri umani. Andrew Sean Greer con La storia di un matrimonio, Raymond Carver con i racconti di Vuoi star zitta, per favore?, Revolutionary Road di Richard Yates, Libertà di Jonathan Franzen, Lacci di Domenico Starnone, La trama del matrimonio di Jeffrey Eugenides sono opere, scritte da uomini, ascrivibili al filone della cosiddetta letteratura coniugale, che riflettono sui rapporti matrimoniali e sull’amore, rivelando con amarezza o pacata rassegnazione che non sempre i due coesistono. Inoltre, il romanzo di Eugenides è costellato di riferimenti austeniani, mostrando, da parte dello scrittore americano, una conoscenza approfondita della narratrice. La stessa che, insieme all’ammirazione, possedeva Pietro Citati, tra i maggiori estimatori dell’autrice in Italia. Citati, in un omaggio a Jane, individuò con precisione quelle accortezze della scrittura che ne esprimono il talento nel narrare storie che riflettono la realtà, accompagnandosi con un filo d’ironia: «La Austen possedeva un fortissimo senso della società: non meno robusto, vasto e incisivo di quello che aveva Balzac. Il suo giudizio sulle persone e le situazioni è persino più duro e feroce. La società rappresentata in Persuasione è vanitosa, presuntuosa, egoista, tronfia e sciocca. Per fortuna, possiamo aggiungere che è comica: ma è comica soltanto perché irreparabilmente e impenetrabilmente sciocca. Dagli sguardi acutissimi della brunetta non si salva niente. Oppure si salva tutto, perché persino le più pesanti e rozze cretinerie diventano, appena giungono tra le sue mani, lievi, inverosimili, aeree, persino poetiche. È il miracolo che nessun lettore della Austen riuscirà mai a spiegare». Tuttavia, come dichiarò Citati, non siamo ancora in grado di riconoscere la sua reale grandezza, sebbene «i suoi vicini sono Balzac, Tolstoj, Proust, i creatori di mondi universali».
E lo stesso è accaduto e continua ad accadere con schiere di scrittrici, di grande talento e acume narrativo, che, però, sono poco lette, poco recensite, di tanto in tanto premiate, meno considerate, tranne sporadiche eccezioni e, ciononostante, molte volte i loro libri vengono reputati di livello qualitativo inferiore rispetto a quelli dei colleghi uomini o, almeno, destinati alle “femmine”. J.K. Rowling, Toni Morrison, Joyce Carol Oates, Maya Angelou, Alice Munro, Donna Tartt, Isabel Allende, Margaret Atwood, Annie Ernaux, Elsa Morante, Doris Lessing, Ursula K. Le Guin, Matilde Serao sono solo alcune delle grandi scrittrici del nostro tempo: nei loro romanzi e racconti amore, morte, destino, paura, legami si intrecciano e avvolgono nelle grandi città del mondo, su pianeti altri, nel presente, nel passato, nel futuro, in mondi noti o non ancora conosciuti. La letteratura non può ridursi a mera sovrastruttura, a campo di battaglia per lo scontro di forze opposte: è bisogno primario di raccontare e raccontarsi e, in quanto tale, non può essere costretta in rigide etichette di genere né inchinarsi a una divisione in livelli che non rispecchia i suoi intenti.
Chi è ancora convinto che debbano esistere una letteratura maschile e femminile, ricordi Elsa Morante, che amava definirsi scrittore, perché «il concetto generico di scrittrici come di una categoria a parte, risente ancora della società degli harem».
Francesca Belsito