Memorie di una testa decapitata. Abdicare alla rete editoriale. D’amicizie e mediocrità narrative.

Nel lavoro contano la rete di amicizie, le conoscenze, le alleanze.
Concetti positivi per entrare, vivere e non perdersi in isolamenti esistenziali, anticipo di morte economica, credibilità lavorativa seppellita (nonostante tutto quello che si dice sul rispetto degli individui ecc).
Similmente nell’ambito letterario, editoriale, ai piani alti e nelle prime, basiche relazioni con appassionati, volenterosi lettori, scrittori, critici (coi poeti no, non voglio averci a che fare. I poeti vanno bullizzati). E se non ti leghi a nessuno difficilmente potrai farti leggere, prendere sul serio, confrontarti, riflettere sulla tua scrittura, sul tuo immaginario narrativo, sulla tua stessa concezione della vita e della realtà sociale e politica.
Ed è giusto così, sia nel cammino verso la pubblicazione (quella seria, quella professionale) (perché siamo sinceri: va bene tutto, ma essere “scrittori”, anche per chi dileggia il termine, prevede un certo tipo di pubblicazione, un certo tipo di editori, un certo tipo di mercato editoriale) (sì, “mercato”. basta romanticismi: la scrittura fa parte del mercato) sia per un viaggio interiore personale che potrebbe portarti anche a NON pubblicare (la pubblicazione come performance da catalogare sui vari portali sessocentrici).
Giusto così: stare pronti, trovarsi i maestri giusti, non uscire dal meccanismo.
Cosi nell’editoria, in qualsiasi lavoro, nella vita.

Ma quanto è bello, poi, dopo aver costruito, legato, dopo essersi esposti senza superficialità, buttare al diavolo tutto? (“buttare tutto al diavolo”? ma no, “regalare tutto al diavolo”!).
Abbandonare amicizie, conoscenze, maestri, modelli d’ispirazione letteraria; buttare al vento i buoni consigli, ma anche quelli negativi, buttare al vento ogni possibilità di dialogo fruttifero.
Impara l’arte e mettila da parte.
Impara a vivere e, quando hai trovato la via giusta, gettati nel fango.
Masochismo, voluttà della perdizione, gesto gratuito, depénse, la petite mort dello scrittore che voleva lasciare un segno nella comunità dei suoi simili ma che, quando ha visto l’abisso, ha riso e si è lanciato con grazia e a peso morto nella sua rovina?
Da soli, senza scuole, rinnegando se stessi, e allo stesso tempo esaltandosi, ergersi a unico re della propria mediocrità; remare su strade di fango, annegando per sentieri d’asfalto, innalzandosi su monti e detriti sussurrando la propria inadeguatezza.
E non provare né felicità né tristezza, ma guardare il proprio vuoto e allungare la mano.

Giovanni Canadè
cattivo maestro, maestro cattivo,

senza scuola, senza guida

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