Fine dell’estate, fine delle presentazioni letterarie e delle performance nei luoghi turistici.
Arte come intrattenimento turistico o è un penetrare nei luoghi turistici, dove i visitatori sono lì per altro, per il cibo, ovviamente, provando a fornirgli “a tradimento” la conoscenza di libri che altrimenti non prenderebbero mai in considerazione?
Arte come passatempo borghese, piccolo turismo borghesuccio, arte da borghi abbandonati (e credetemi, se questi borghi sono stati abbandonati, un motivo valido ci sarà), tra ruderi instagrammabili?
D’altronde, cosa c’è di più instagrammabile dei libri, con le loro copertine luccicanti (il corrispettivo del “che bella fotografia” quando si commenta un film che non si è capito ma non si vuol fare una brutta figura).
Intendiamoci, ogni occasione è buona per parlare di libri, di letteratura, di arta in generale; ognuno, in questa società ha il suo posto ed è giusto che sia così. Anche il noto self(publishing)man avrà le sue piazze e i suoi banchetti dal quale vendere il suo libro a testa in giù. Chi siamo noi per criticare (in senso negativo) tutto questo?
Isolarsi in una torre d’avorio o più prosaicamente in un bosco tra le montagne ci rende migliori? Affatto.
Però l’estate, i turisti pantagruelici, i territori divorati dal concetto capitalista del profitto (anche questa pietra scheggiata deve renderci qualcosa, anche questi mattoni traforati, e queste ossa di cane nella campagna? troviamoci una storia, facciamola fruttare, ché se frutta matura e fattura!), però tutto questo…
Giovanni Canadè
frustrato, fallito, vanitoso, narcisista