Memorie di una testa decapitata – Thomas Bernhard e l’Impiccato

«Un suicidio lungamente premeditato, pensai, non un atto repentino di disperazione»
(Thomas Bernhard, Il soccombente)

Appunti di lavoro: dedicare un lavoro di ricerca ai romanzi che parlino del suicidio e della depressione. Bisogna mettere in piedi un laboratorio che stili autori e scritti che hanno affrontato questi due temi imperanti nei nostri decenni, ma trattati da malattie prêt-à-porter.

Pochi giorni fa ho risentito una collega e amica.
Me lo dice nettamente: scusa se sono sparita ma la settimana scorsa mia sorella si è sparata in faccia.
Resto impietrito, allibito. Non la conoscevo, la sorella, ma un suicidio, anche indiretto (per forza “indiretto”, altrimenti sarebbe il mio e non avrei emozioni a riguardo) mi lascia senza parole, stringe il mio esofago e lascia che la mia mente si liberi delle cose terrene per ascendere verso il mondo degli impulsi elettrici sinaptici.

Il tema del suicidio mi è molto caro: da veterano della depressione ci faccio i conti almeno dall’età della prima giovinezza: mai presa sul serio, ovvero non riconosciuta in tempo per quella che era, la depressione si è sedimentata nel mio cervello fino ad aver costruito un nido impossibile da avvicinare come se fosse abitato da calabroni aggressivi. È così per tutti i depressi, in generale per chiunque soffra, per un motivo o l’altro, di un qualunque disagio psichico, e il cammino sulla terra diventa un percorso lungo e tortuoso su di un terreno lavico.
Ma il punctum di questo pezzo non riguarda la mia impercettibile esistenza, argomento terapeutico. Entra in gioco, sincronicità vuole, poiché sono attorniato da letture che in cui l’atto suicidario è presente con prepotenza nelle pagine che leggo abitualmente.
Prendo un esempio: Thomas Bernhard.
Al momento sto leggendo A colpi d’ascia, le cui riflessioni del protagonista prendono avvio dal suicidio della vecchia amica Joana. All’interno del romanzo si accenna ad altri suicidi, così come in tutta la sua narrativa si trovano suicidi, impiccagioni, di solito.
Non sono in grado, ma bisognerebbe stilare, analizzare, segnalare e sottolineare tutti i passaggi bernhardiani in cui si fa riferimento al suicidio, fare una statistica degli scacchi esistenziali di questi personaggi straordinari, di questi Wertheimer che non possono accettare di non essere “ciò che si è”, e vivere in una realtà mediocre, d’essere complici di questa esistenza caotica e senza mèta.

Provo una tenerezza profonda e tutta umana, troppo umana per i suicidi: gli unici individui tabù che la nostra società, che tutte le società hanno sempre infangato con la loro codardia.

Thomas Bernhard parla al nostro eterno scacco, alla cognizione del nostro dolore.

Giovanni Canadè
(eterno Wertheimer)

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