Sylvia Plath: tra depressione e poesia

 

Dying
Is an art, like everything else.  
I do it exceptionally well.

I do it so it feels like hell.  
I do it so it feels real.
I guess you could say I’ve a call.

Morire
è un’arte, come qualunque altra cosa.
Io lo faccio in modo magistrale,

lo faccio che fa un effetto da impazzire
lo faccio che fa un effetto vero.
Potreste dire che ho la vocazione.

Lady Lazarus, 1962

La mattina dell’11 febbraio 1963 Sylvia Plath si uccide nella casa di Primrose Hill, a Londra, poco prima dell’appuntamento col suo psichiatra. Apre la valvola del gas e mette la testa nel forno. Viene sepolta nello Yorkshire, nel cimitero che aveva già descritto, come una premonizione, in November Graveyard (1956)

The scene stands stubborn: skinflint trees
Hoard last year’s leaves, won’t mourn, wear sackcloth, or turn
To elegiac dryads, and dour grass
Guards the hard-hearted emerald of its grassiness
However the grandiloquent mind may scorn
Such poverty. No dead men’s cries (…) 

Lo scenario è ostinato: alberi avari si tengon strette
Le foglie dell’altr’anno, rifiutano il lutto, la veste di sacco,
o la trasformazione in driadi elegiache, e l’erba austera
custodisce lo spietato smeraldo della sua erbosità,
a dispetto dell’intelletto magniloquente che disprezza
una tale povertà. Nessun grido di morti (…)

Nel gennaio del 1963 Sylvia si rivolge al suo psichiatra il dottor Horder, lamentandosi per la prima volta apertamente del suo stato di depressione. In quell’anno Sylvia è ormai sola. Ted è andato via, su richiesta della stessa Sylvia, dopo la scoperta della sua relazione con Assia Wevill. Il tradimento è un trauma terribile. Le parole di Sylvia, in Words heard, by accident, over the phone, (1962) sono cariche di una rabbia cieca.

O mud, mud, how fluid! —-
Thick as foreign coffee, and with a sluggy pulse.
Speak, speak! Who is it?
It is the bowel-pulse, lover of digestibles.
It is he who has achieved these syllables.

What are these words, these words?
They are plopping like mud.
O god, how shall I ever clean the phone table?
They are pressing out of the many-holed earpiece, they are looking for a
listener.
Is he here?

Now the room is ahiss. The instrument
Withdraws its tentacle.
But the spawn percolate in my heart. They are fertile.
Muck funnel, muck funnel —
You are too big. They must take you back!

Oh fango, fango, come scorre! —-
Denso come caffè straniero, e con un pulsare di lumaca.
Parla, parla! Chi è
È il pulsare delle viscere, amante delle cose digeribili.
È lui che ha realizzato queste sillabe.

Che cosa sono queste parole, queste parole?
Cadono con un plop fangoso.
Oh dio, come farò a pulire il tavolino del telefono?
Sprizzano dalla cornetta bucherellata, cercano un ascoltatore.
È qui?

Ora la stanza sibila. Lo strumento
Ritira il suo tentacolo.
Ma la poltiglia che ha deposto cola nel mio cuore. È fertile.
Imbuto di sozzura, imbuto di sozzura—-
Sei troppo grosso. Devono riprenderti indietro!

Sylvia affronta un inverno gelido e devastante che costringe lei e i suoi figli a letto. Il suo umore è ormai altalenante: alterna momenti di gioia e speranza, a momenti di sconforto e disperazione. Nonostante cerchi di mantenersi impegnata e attiva professionalmente, la sua mente sta cedendo sotto al peso dei giorni, ripiegandosi sempre più spesso su pensieri suicidi. Horder le prescrive degli antidepressivi e trova un’infermiera che vada a casa sua regolarmente per sorvegliarla e aiutarla.

Leggendo i suoi diari, che dopo le raccolte poetiche e le lettere alla madre Aurelia sono la parte più consistente della produzione letteraria della Plath, ci accorgiamo della costante dissonanza tra l’immagine di una Sylvia brillante, di successo, e quella di una Sylvia sola, isolata nel suo vuoto interiore, in costante lotta tra la vita, la morte, la depressione. Inoltre è preoccupante la sua instabilità emozionale e i suoi bruschi sbalzi d’umore, sia all’interno dell’ambito lavorativo, sia nelle relazioni personali: alla scoperta del tradimento di Ted con Assia, Sylvia fa a pezzi la preziosa edizione di Shakespeare di suo marito e tutti i suoi fogli, i suoi quaderni, e le sue poesie.

Sylvia era depressa, nonostante, a primo sguardo, non si sarebbe mai detto. Niente, nella vita di tutti i giorni, traspariva della sua agonia, nessuno, a parte suo marito, sapeva delle sue lotte quotidiane, dei suoi demoni interiori. La sua sofferenza emergeva solo sulla pagina, sul foglio, nella poesia.

La sensibilità di Sylvia agli alti e bassi della vita, le sue reazioni eccessive alle esperienze di ogni giorno, il suo sentire troppo forte, l’hanno condotta alla morte.

È evidente che Sylvia soffrisse di un disturbo della personalità, che possiamo chiamare “emotionally unstable personality disorder, borderline type. Borderline personality disorder”[1], caratterizzato da reazioni eccessive, da intense e instabili relazioni personali, da disturbi dell’identità, da un Io frammentato, da un sentimento di vuoto, da impulsività e da autolesionismo.

La raccolta di poesie Ariel, pubblicata solo due anni dopo la sua morte, nel 1965, è il risultato della fervida attività mentale e poetica degli ultimi mesi di vita di Sylvia Plath, tra il settembre e il dicembre del 1962, al culmine della furia per la separazione da Ted. Sylvia riesce finalmente a superare i limiti della realtà per trovare l’infinito, riesce a prendere le mosse da quello che le accade nella vita di tutti i giorni per spostarsi su un piano più alto, universale. Così, da un taglio procuratasi con un coltello da cucina, si apre un mondo nuovo, inesorabile.

 

 Cut

What a thrill —
My thumb instead of an onion.
The top quite gone
Except for a sort of a hinge 

Of skin,
A flap like a hat,
Dead white.
Then that red plush. 

Little pilgrim,
The Indian’s axed your scalp.
Your turkey wattle
Carpet rolls

Straight from the heart.
I step on it,
Clutching my bottle
Of pink fizz.

A celebration, this is.
Out of a gap
A million soldiers run,
Redcoats, every one.

Whose side are they on?
O my
Homunculus, I am ill.
I have taken a pill to kill

The thin
Papery feeling.
Saboteur,
Kamikaze man —

The stain on your
Gauze Ku Klux Klan
Babushka
Darkens and tarnishes and when

The balled
Pulp of your heart
Confronts its small
Mill of silence

How you jump —
Trepanned veteran,
Dirty girl,
Thumb stump.

 

Taglio

Che brivido –
il pollice invece della cipolla.
La cima via di netto
eccetto che per un piccolo 

sportello
di pelle, un cappelluccio
smorto.
Poi quel velluto rosso.

Piccolo pellegrino,
l’indiano ti ha scalpato.
Il tuo bargiglio di tacchino
è un tappeto

srotolato dal cuore
su cui muovo
tenendo stretta la mia bottiglia
di spumante rosa.

Una celebrazione, ecco cos’è.
Da una breccia di corsa
escono un milione di soldati
in giubba rossa.

Da che parte staranno?
Omuncolo mio,
mi sento male.
Ho preso una pillolina

per uccidere questa
sensazione di carta velina.
Sabotatore,
kamikaze –

La chiazza sul tuo cappuccio
di garza
babushka Ku Klux Klan
scurisce e perde lustro e quando

il cuore della tua biglia
in poltiglia
incontra la sua minuscola
macina di silenzio

come sobbalzi –
veterano trapanato,
ragazza sozza,
dito mozzo.

 (1962)

Ariel è la finale liberazione di una voce interiore che non trovava pace, la voce di una poetessa tormentata e schiacciata, che nella morte, così tanto a lungo seguita ed inseguita, trova la libertà che in vita non ha mai avuto.

 I write only because
There is a voice within me
That will not be still.

Scrivo solo perché
C’è una voce dentro di me
Che non sta mai in silenzio.

 Letters home, 1948

(Edizione di riferimento per i testi e le traduzioni, Sylvia Plath, Tutte le poesie, Oscar Mondadori, traduzione di Anna Ravano, Milano, 2013.)

 

Elena Ramella 

Elena Ramella, classe 1995, studia Lettere all’Università di Torino. Ha trascorso un anno in Francia per studio e ha conseguito la laurea in Culture e Letterature del Mondo Moderno. Appassionata lettrice e appassionata scrittrice, ha pubblicato la raccolta di racconti “Lettere dalla notte” (Edizioni LaGru) nel 2015 e il romanzo breve “Melograno” (Edizioni Echos) nel 2016. Da un paio di anni collabora con riviste on-line scrivendo racconti.


[1]American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual, Fourth Revision (DSM-IV). Washington: APA, 1994.

2 Comments
  1. Donatella 30 Gennaio 2021 Reply
    • Giovanni Canadè 30 Gennaio 2021 Reply

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