Tre può essere considerato il romanzo di Tiziano Sclavi più esplicativo al fine di conoscere in toto il suo universo narrativo. Di sicuro è il più ambizioso ed esaustivo dello scrittore pavese.
Scritto negli anni settanta, sebbene lo stesso autore si dichiara incapace di stabilire correttamente la data di stesura, è rimasto anch’esso a lungo inedito, fino a che Raffaele Crovi non lo pubblica nel 1988 per la neonata casa editrice Camunia, editore che, abbiamo visto, ha pubblicato quasi tutti i romanzi di Sclavi. E in effetti è risultato fondamentale per lo scrittore lombardo la lunga amicizia con Crovi, quasi una figura paterna e poi guida per la sua avventura editoriale.
Raffaele Crovi punta molto sul romanzo di Sclavi, ma i risultati di vendita sono deludenti. Come scriverà lo stesso Sclavi nel 1997, nell’introduzione all’edizione integrale del romanzo pubblicata da Periplo (l’edizione che noi stiamo prendendo in esame per questa rilettura), la pubblicazione fu contrassegnata da una “esplosione di indifferenza generale”. Nonostante l’insuccesso, nel 1994 fu ripubblicato, nella stessa versione coi tagli decisi tra autore ed editore, dalla Mondadori, in quelli che erano gli anni di maggiore successo commerciale di Dylan Dog (il cui nome campeggia a grandi dimensioni sulla copertina). Bisognerà aspettare, appunto, il 1997 per leggerlo nella sua versione integrale.
In Tre si specifica al meglio anche lo stile e l’approccio di Sclavi alla narrativa, e la sua appartenenza al postmoderno. “Quando ho letto Mattatoio n.5 ho creduto a un certo punto di essere Vonnegut”, afferma Tiziano in un’intervista. E lo crede così tanto da scrivere la sua versione del romanzo di Kurt Vonnegut, ricalcandolo nella struttura ma usando le proprie parole, le proprie storie, la propria poetica. Abbiamo già visto che la stessa operazione verrà replicata in Apocalisse in maniera, ma possiamo trovare lo stesso procedimento ne L’inquilino Arcano, nei suoi Mostri che derivano direttamente dal film di Tod Browning, per non parlare delle numerose riscritture operate con le storie di Dylan Dog. In questa sede sorvoliamo sui cardini della scrittura e sul postmoderno, rimandando a testi più appropriati, ma sottolineiamo che ciò che contraddistingue lo sterile citazionismo dalla riscrittura risiede, ne siamo convinti, principalmente nella voce dell’autore, nella presenza di una poetica originale che utilizza gli strumenti già conosciuti e masticati, trasformandoli in nuovo materiale, in nuovi sogni e nuove mitologie. Se tutto è già stato scritto e detto, Tiziano Sclavi ha saputo dire cose nuove con le parole già usate, piegando al proprio uso più linguaggi e strumenti differenti tra loro.
“Sclavi smonta il romanzo di Vonnegut instaurando con il lettore un gioco a metà tra la complicità e l’imbroglio. Mattatoio n. 5 era già pensato come un puzzle, ma l’autore ne forniva la chiave, la voce narrante teneva insieme i vari pezzi che tendevano a divergere. Sclavi toglie ogni punto d’appoggio, elimina gli elementi unificatori riducendo la costruzione vonneguttiana ad un informe cumulo di macerie. L’intento, ovviamente, non è solo quello di giocare a nascondino con il lettore, ma soprattutto quello di creare (come già in Film) un’atmosfera onirica, di rendere al massimo grado la caoticità del reale, e infine di smascherarne la falsità” (Dellamorte e altre storie, Daniele Bertusi, Periplo, 1997)
Il romanzo di Vonnegut (1968) è ancora oggi uno dei romanzi contro la guerra più importanti di sempre. Mattatoio n. 5 narra la storia di Billy Pilgrim, un uomo come tanti, un inetto, che combatte suo malgrado nella seconda guerra mondiale e che nel dopoguerra diventa ricco mettendo in piedi una fabbrica di occhiali. Un giorno, Billy viene rapito da curiosi alieni, abitanti del pianeta Trafalmadore, che gli insegnano a viaggiare nel tempo. Il tempo dei trafalmadoriani non è quello da noi conosciuto, cioè lineare, bensì un unico momento composto da passato presente e futuro. La professione di Billy Pilgrim, quella di costruttore di occhiali, è la metafora del nuovo sguardo che gli alieni gli hanno donato, la capacità di guardare alla storia da un punto di vista oggettivo, distaccato. La visione della storia e del destino umano in Vonnegut è pessimista, la guerra e l’autodistruzione sono inevitabili. Billy Pilgrim conosce la verità e viene trattato come un pazzo. Mattatotio n. 5 è uno splendido romanzo sulla stupidità umana, o meglio contro la stupidità umana, sull’inutilità dei massacri di guerra, sull’innocenza dell’umanità forse mai perduta perché mai avuta.
Da queste premesse, da questa base tematica e di stile, parte il romanzo di Sclavi, che, come detto, estremizza ancor di più gli intrecci delle storie, degli universi paralleli, dei passaggi di tempo e di spazio. Treè un romanzo a più dimensioni, un cubo nel quale una stanza porta ad un’altra, e allontana sempre di più l’uscita.
Tre inizia con l’enumerazione di alcune vittime, tutte senza nome. ne vengono definite le loro ultime azioni e di alcune le loro vite. Quasi nessuno dei personaggi presenti in Tre ha un nome, ma viene presentato con un numero, una caratteristica.
Dopo averci narrato gli ultimi spasmi di vita delle vittime, a prendere la parola è un medico che, in prima persona, inizia a raccontarci di sé, della sua vita anonima e del suo lavoro. Una sera, il medico viene chiamato da qualcuno che lo prega di raggiungerlo immediatamente per un problema grave di salute; arrivato a casa del vecchio, il medico trova però un uomo in buona salute in compagnia di sua figlia, che con la sola sua presenza turberà il giovane. Il vecchio, il finto malato, ha ideato quello stratagemma solo per poter avere qualcuno con cui parlare, al quale raccontare le sue storie. Ma ecco che, già a pagina 19 (della versione integrale) la questione si complica: “Prendo la penna in questo giorno, 18 luglio 1979, per scrivere una storia.” Ora chi è che sta scrivendo queste parole? L’uomo che racconta la storia al medico? Il medico stesso che mette su carta il racconto dell’uomo? Oppure lo stesso autore del romanzo, Tiziano Sclavi che, ancora una volta (ricordate La circolazione del sangue?) entra nel romanzo come personaggio e autore? In ogni caso, da questo momento leggeremo la storia del “suo unico figlio”, il figlio di Edna, una madre che muore appena lui parte per la guerra e che da quel momento lo seguirà nella nuova condizione di fantasma in tutte le sue avventure.
“Quasi nessuno dei personaggi di Tre ha un nome proprio, […] Tre è un romanzo senza persone, un romanzo di personaggi senza identità. […] “il suo unico figlio” è il paradigma di un’umanità priva di esistenza individuale che ricerca il senso del proprio essere in una continua sperimentazione di inutili possibilità.”
Le vicende del suo unico figlio vanno ad alternarsi, almeno fino a un certo punto, con il ritorno nella casa del vecchio, di sua figlia e del medico, che dopo una prima insofferenza, resta intrappolato nella narrazione della storia del suo unico figlio e della sua ricerca di un padre, nell’amore per la giovane Cenerella, nella descrizione della Sala dei Passi Perduti, luogo di ritrovo dei freaks della città.
Per tornare a Vonnegut, se Billy Pilgrim soffriva per la violenza dell’Uomo cercando la pace, il “suo unico figlio” di Sclavi, novello messia (numerosi e chiari sono i riferimenti cristologici nel corso di tutto il romanzo) arriva alla conclusione che l’unico modo per fermare l’assurdo movimento degli eventi e degli universi paralleli nei quali il suo unico figlio passa attraverso, è quello di distruggere il mondo, fermarne il meccanismo stesso (ancora una volta pensiamo a La circolazione del sangue, che a Tre è forse il romanzo più affine). Per questo, diffonderà la peste nell’acquedotto e tenterà di far saltare una centrale nucleare.
Il suo unico figlio è un messia disperato che tenta di uccidere Dio:
“È facilissimo” disse il suo unico figlio. “Dio è dappertutto, non ricordi? Basterà distruggere tutto, e quando avremo distrutto tutto distruggeremo anche noi stessi e Dio morirà e non potrà più fare del male a nessuno.”
Nella ridda di situazioni e di spostamenti spaziali, gli universi si compenetrano l’uno nell’altro e saltano tutti i punti di riferimento. Non sappiamo più chi sia il narratore o i narratori. I personaggi delle storie che il vecchio racconta prendono la parola, in modo che lo stesso lettore pare essere catapultato in uno degli universi paralleli narrati.
“Tre è un romanzo che celebra il potere della parola, la capacità di un racconto di far immedesimare l’ascoltatore nei suoi personaggi, di abbattere progressivamente le sue difese per attirarlo nel suo mondo di finzione. L’immedesimazione funziona, in Tre, attraverso il triangolo edipico: il medico infatti rivive, nel veloce susseguirsi degli stati d’animo, i sentimenti di un bambino nei confronti del padre, dall’indifferenza, all’amore infantile, all’odio adolescenziale, e alla fine del romanzo ucciderà il vecchio per avere la ragazza; all’interno del racconto del vecchio, intanto, si creano altri triangoli edipici, che fanno da specchio alla sua situazione, come quello tra “il suo unico figlio”, Edna e “l’uomo dalla faccia quadrata senza un incisivo”, o quello tra “il suo unico figlio”, Cenerella e il tipografo. Il medico si immedesima nella storia del vecchio e, quindi, ci si perde. Tre, dunque, è un libro sul rapporto morboso che si instaura tra chi racconta e chi ascolta, quindi tra chi scrive e chi legge, è un libro sul potere demoniaco della letteratura di rovesciare il rapporto con il lettore, che crede di usarla e invece ne viene fagocitato.”
Ciò che resta, in Tre, sono le storie, slegate o no che siano intorno a un centro unico (che poi il centro esiste: è l’uomo e la sua disperazione esistenziale, l’uomo e la sua ricerca d’infinito nel mondo finito e sempre uguale di cui è parte), le storie sono lì per essere narrate, scritte e ascoltate.
Tre è un romanzo-labirinto senza centro. Entriamo nel romanzo da un punto qualsiasi e quando ci pare d’averne vista la fine, ci ritroviamo al punto di partenza. Tre è un romanzo che somiglia alla nostra vita. Nascita, vita e morte: tre passaggi sempre uguali, consistenti a noi. L’unico modo per illuderci di essere liberi è illuderci, raccontarci storie, nuove vite.
Tre è un romanzo filosofico, sulla lingua e i suoi labirinti (in Sclavi non dobbiamo mai dimenticare la lezione di Georges Perec, nel caso specifico de La vita istruzioni per l’uso), i nostri simboli, i nostri fallimenti.
Giovanni Canadè