“Toi, tu ti svegli.”
Un flusso ininterrotto di parole, un incalzante accumularsi di pensieri che si auto-alimentano per mezzo delle parole stesse: il testo di Alessandro Chidichimo, Tu, toi (éditions dasein, 2021) è questo e altro.
Narrato in seconda persona, il “tu” al centro del racconto è lo stesso autore (?), ricercatore di linguistica a Ginevra, che con le parole lavora – sebbene il lavoro, che sia fare il ricercatore accademico e il lavoro tout court, sia biasimato: “E tutti si sono rassegnati, e l’hanno accettato, e nessuno, nessuno ne parla più” (riferendosi alla “piaga” del lavoro nei call center nella Calabria che l’autore del libro ha lasciato per la sua carriera di ricercatore in Svizzera. E ancora: il tu, toi del racconto lotta costantemente contro il lavoro e una società che ti vuole normalizzato. Tu lotti per non farti amalgamare: “È questo essere nel sistema: lasciarsi andare/farsi prendere. Perché parlare di partecipare alla funzione pubblica essere parte della società, perché non parlare di lasciarsi andare, farsi assorbire? Perché sprecare tempo? Lasciatevi andare”
Il narratore parla al protagonista e lo stesso protagonista parla a noi lettori, si confida, si espone, ci racconta la regolarità delle sue giornate, in un racconto circolare, mensile, puntato dal freddo ginevrino che pare non scaldarci mai.
Ma Tu, toi parla di parole e ci parla con parole che devono sradicarsi: “Compagno, amico mio adorato, la prima cosa da fare per poter scrivere è rinunciare a quello che tu chiami stemma, diagramma, origine o quello che vuoi”; parole che si mescolano sulla pagina e nella mente del narratore/protagonista, in un miscuglio di italiano e francese (ma anche con puntate all’inglese e al dialetto calabrese).
Questa lingua mista, questo flusso di parole e coscienza ha l’originalità di un linguaggio del pensiero, di una macinatrice di senso. Le lingue si intrecciano, si aiutano ad esprimere, appunto, il senso; la lingua usata da Chidichimo diventa una sorta di nuovo esperanto, la lingua di chi rinuncia alle radici per calarsi in un non-luogo accademico, tra la Svizzera, la Germania, il nord Europa.
Toi, tu ci racconta la quotidianità di una vita in bilico tra la paura della povertà e il tentativo di vivere di scrittura.
Tu, toi viaggia nell’Europa del Nord, in fuga dalla primigenia aridità della Calabria, dell’Italia tutta.
“Toi, tu te retrouves à Paris, tu sais. Tu penses qu’il faut mettre au clair certaines choses. Credi, ti dicono e tu ci credi che non bisognerebbe denunciare facilmente i sentimenti. Non dire, non parlare, garder le secret – mais jusqu’à quand et pourquoi et pour qui enfin? Tu non vuoi niente. Vorresti solo mettere in chiaro certe cose che ti sembra debbano essere messe in chiaro. Bisogna parlare, dire, annunciare, esprimere, dire e ancora dire. Mostrare, non avere paura, far vedere, esporre ed esporsi, far sapere, comunicare, affrettarsi all’uscita prima che sia troppo tardi, prima che non faccia più senso e che il momento sia passato. Dillo se devi dirlo. Dillo se devi dirlo e così sia.”
Tu, toi di Alessandro Chidichimo è opera prima ma già matura nel suo riuscire a inventare una lingua nuova che non si afflosci su se stessa dopo poche pagine, e che usa la stessa lingua per donare un senso alla vita/alle vite descritte in questo racconto di solitudine e intimità ed estrema sincerità.
“Puis un mec s’approche. Voilà, à force de te mettre là à écrire, ça arrive. « Bonjour, est-ce que vous êtes poète? Désolé de vous déranger! » « Ah, non, je ne suis pas poète. » « Ah, parce que je vous ai vu écrire… » « Ah, non, je fais des notes que pour moi. »« Et vous n’êtes pas d’ici? J’ai vu que vous n’êtes pas d’ici. » [è da quando eri di qui che la gente pensa che tu non sei di qui, anche a casa tua tutti a chiederti la prima volta se parli italiano e se capisci la nostra lingua; sembra che tu sia sempre stato d’ailleurs senza mai sapere da dove vieni, di dove sei, quale sia la tua lingua. Avant il y avait les yeux, e adesso ici l’accento, è ora questo e ora quello, t’es d’ailleurs quoi, c’est ça. E se fosse questo il problema, fosse la lingua e non les sentiments qu’on dit malamente come tosse che non si lascia dalla gola e che fa lacrimare] « Non, je suis italien. » « Moi, je suis français, ou bien algérien de France. » Toi, t’aurais voulu dire que t’es calabrais d’Italie, que t’es ici et ailleurs. Il part en te souhaitant buon coraggio. Il te laisse seul à nouveau.”
Giovanni Canadè