Yuri – Un racconto di Maria Teresa D’Agostino

Il nuovo racconto che pubblichiamo parla di cani, di un Principe Nero e della crudeltà degli umani.
L’autrice è Maria Teresa D’Agostino, alla quale diamo il benvenuto.

Buona lettura.

La mail alla quale proporre i vostri racconti è g.canade@biblon.it

***

Frans Snyders (1579-1657), Lotta tra cani

 

 

 

Fiato corto, muscoli tesi, occhi sbarrati. Paura. Eccolo il neon. Luce che ferisce. Sempre quella. Sempre dopo il buio. Nero e rumori. Grida d’uccelli, lamenti, il cigolio della porta di assi malmesse. Sete, tanta sete. No. Botte, dolore. La zampa, il muso. No, no, no. Paura.

Una volta quel sacco glielo avevano tolto. Luce. Accecante. E un gatto a tre colori tutto incurvato e con il pelo dritto. Lo aveva azzannato alla schiena in un attimo. Forse era stato quello sciocco animale peloso a tenerlo al buio e a picchiarlo. Gliel’aveva spezzata di netto. Solo un grido incredulo, brevissimo, risucchiato via dal tunnel della fine.

Fame, sete. Quel giorno aveva avuto un pezzo di pane, duro, acre. Gli avevano fatto delle punture. Due, tre, forse quattro. Sentiva i muscoli tendersi come per forza. Fame, sete. Ancora buio. Luce abbagliante, ancora. Zorro era immobile sulle zampe con la coda tra le gambe. Tremava. Non ci sapeva stare senza Emma e Frida, le gatte. Non ci sapeva stare senza di loro, neppure per un attimo. Dopo quel pollo, appena un boccone, per strada, non avevano più visto il sole. Li avevano messi tutti e tre dentro una capanna, umida, senza finestre. Poi il tizio con la sigaretta era venuto a prenderlo. Gli aveva messo una corda attorno al collo e lo aveva portato fuori. Era quasi buio. Zorro tirava forte per tornare dentro. Non ci sapeva stare senza Emma e Frida. Ma quello lo aveva strattonato lungo un breve sentiero. Poi lo aveva fatto entrare in quella stanza fredda. Con il neon sparato sulla faccia. Tremava. Orecchie e occhi abbassati. Emma, Frida. Yuri gli balzò addosso. Lo prese al collo e serrò la mandibola, scuotendolo forte. Solo un guaito lunghissimo. Smise in fretta di sentire dolore mentre un freddo strano, veloce si impossessava di lui… Dov’era il giardino? E Frida? E Emma? Stupido, stupido cane. Non dovevi venirmi davanti. Matteo mi aspetta. Lo so che mi aspetta. Devo tornare. Devo tornare. Yuri ansimò a lungo. Buio. Ancora.

Eccolo il neon. Confusione, una grande buca. Voci, gente. La catena tira da fargli male. Dall’altra parte c’è Dago. Nero, una piccola macchia bianca sul petto, fauci spalancate. Paura. Li liberano dal laccio d’acciaio nello stesso momento. Si avventano l’uno contro l’altro. Lo spazio circolare è coperto da una nube fitta di polvere. Si azzannano alle zampe, alle orecchie, al collo. Si rotolano senza staccarsi neppure per un attimo. Si sente solo il digrignare rabbioso dei denti e urla che incitano l’uno o l’altro. È stato questo grosso cane, allora, a picchiarmi, a tenermi la testa chiusa dentro quel sacco. Mi ha pure impedito di mangiare. Sicuro, mi ha portato via lui da Matteo. Via dalla palla arancione e dalla piccola piscina per giocare con l’acqua. Sanguina Yuri. Il mantello bianco è impastato di polvere e sangue. Un rivolo rosso parte dalla schiena e scende sul fianco fino alla zampa sinistra. Anche sotto l’occhio ha un taglio profondo, orizzontale. Maledetto cane. Sembrano staccarsi, ma per attaccarsi con più rabbia un attimo dopo. Dago lo sovrasta. Il collo gonfio all’inverosimile e la bocca aperta sul muso contratto di Yuri. Gli dà una zampata che lo squarcia sul fianco. Sangue a fiotti. Il mantello è ora di un marrone fangoso. Dago, il principe nero, è di uno strano grigio cupo, come smog solidificato. Anche le persone sono grigie. E non smettono di gridare. Yuri è a terra, steso sul fianco, respira corto. Dago sta per tornargli addosso. No, no, no. Cerca di alzarsi. No, no, no. Matteo mi aspetta. Vuole che io lo rincorra attorno all’albero, dietro casa. Dago gli è vicinissimo. Affannato, la lingua penzoloni. Si guardano ancora. Con uno scatto improvviso Yuri lo afferra al collo. Serra le mandibole. Dago ulula. Sangue. Un fiume. Tutto intorno. Si impasta con la terra.

Yuri viene raggiunto dall’uomo con la sigaretta. Gli infila a fatica la catena al collo e lo trascina via. Ridacchia.

Dago respira lento. Il sangue gli esce pure dalla bocca. Gli occhi sono coperti dalla melma. Non vede più. Era stato fino a tre mesi in una baracca vicino al fiume con la mamma e quattro fratellini. Ciotole sporche e poco cibo. Ma non facevano altro che giocare e dormire tutti accucciati contro il grande ventre della mamma. Poi lo avevano portato via dentro una scatola. Scosso da fremiti. Paura. Gli occhi bassi. E poi buio. Fame, sete. Botte. Tante botte. La luce. Un piccolo gatto tigrato. Rabbia. Il corpicino volato in aria come carta straccia. Buio. Fame, sete. Dago, il principe nero.

 

(c)2020 Maria Teresa D’Agostino

Maria Teresa D’Agostino è Laureata in Scienze Politiche, giornalista pubblicista, si occupa di comunicazione in ambito cultura, società e ambiente, e collabora con le redazioni di case editrici. 
Organizza e conduce eventi. Cura il blog personale “Connessioni” e il blog collettivo “Apostrofi a Sud”. 

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