I venerdì del Nucleo Kubla Khan – Julio Cortázar

“Fui una letra de tango
para tu indiferente melodía”
(Julio Cortázar, “Quizá la más querida”)

“Chi non legge Cortàzar è spacciato. Non leggerlo è una malattia molto seria e invisibile, che col tempo può avere conseguenze terribili”. Bastano queste parole di Pablo Neruda a inquadrare Julio Cortàzar, (onni-)scrittore che, in realtà, inquadrato non può essere.

Nel corso della sua vita, lo scrittore nato a Bruxelles nel 1914 da genitori argentini, ha toccato col suo genio fantastico tutti i generi contenuti nello scibile letterario: romanzo, racconto, saggio, miscellanee, teatro, poesia e corrispondenza. Lo screziato mondo dei lettori gli riconosce, in primis, una certa preminenza nel genere del racconto fantastico, di cui Cortàzar ha contribuito a costruire lo spazio vitale, proseguendo il lavoro inaugurato da Jorge Luis Borges.

Pur sempre legata a una certa tradizione letteraria argentina, dove reale e surreale si inalveano nei limiti del paradossale, la narrazione di Cortàzar si caratterizza per la meticolosità realistica in cui è immersa la trasmutazione visionaria. Il mondo cortazariano è una fantasmagoria quasi metafisica di personaggi inesistenti, dove il fantastico e l’irrazionale prendono vita, fondendosi, tra atmosfere folcloristiche e ambienti aristocratici, all’ombra e sullo sfondo di una Buenos Aires versicolore.

L’opera di Cortàzar, parafrasando il titolo della sua prima raccolta di racconti di successo (1951), è un bestiario di tormenti e figure invisibili, partorite da una fantasia elegante ed arguta, eppure descritte con cinica precisione.

“Spiegarlo è facile, sai, ma è facile perché in fondo non è la spiegazione vera. La vera spiegazione non si può spiegare, semplicemente”
(Julio Cortàzar, “El persegudor”)

È proprio il genere che ha come maestri Poe e Cechov (autori ai quali è stato spesso accostato) che consente a Cortàzar di entrare nella ritrettissima cerchia degli Immortali. Ne ricordiamo, in questa sede, solo alcune raccolte: Las armas secretas (1959) che ospita due dei suoi racconti più noti, El persegudor, ispirato alla figura del jazzista Charlie Parker e Las babas del diablo, che ispirò Michelangelo Antonioni per la pellicola Blow-up;  Historias de cronopios y de famas (1962); Octaedro (1974)

L’esperienza più peculiare di Cortazar è, tuttavia, l’opera multigenere, in cui convergono le forme del poema-saggio-racconto, come testimonia la mirabile miscellanea La vuelta al día en 80 mundos (1967).

 

 

“… pezzi di cose che vanno passando attraverso pezzi di frase, attraverso pezzi di sguardi e pezzi di sorrisi, attraverso gocce di saliva sopra il tavolo o appese agli orli dei bicchieri”
(JC)

Un romanzo su tutti, considerato uno dei più influenti della letteratura latinoamericana contemporanea, che ci preme qui di consigliarvi, è Rayuela (1963).

 “La realtà gli sfugge e gli lascia in cambio una specie di parodia che lui tramuta in una speranza”
(JC)

Nell’ampio cratere che si sforza di contenere la magmaticità artistica di Cortàzar, si colloca, assieme a tutto il resto, la natura del suo esordio letterario: due volumi di versi (Presencia, 1938, edito con lo pseudonimo di Julio Denis, e Los reyes, 1949, di argomento mitologico) a cui faranno seguito poche altre esperienze similari.

Il rapporto dell’autore argentino con la poesia è, difatti, particolare e scostante. Egli non abbandonò mai la frequentazione della poesia nel corso della sua produzione narrativa, ma ne confinò di fatto i suoi frutti in due imponenti volumi, pubblicati in maniera quasi accidentale (Razones de la cólera, 1950-1956, e Pameos y meopas, 1971).

Ed è proprio al “Cortàzar poeta” che oggi Biblon ha deciso di dare spazio, proponendovi tre poesie estratte da Razones del la cólera. In favore di una godibilità più consapevole dei versi, si è scelto di proporre, assieme alla traduzione italiana, il testo in lingua originale. 

“Le grandi sorprese ci attendono là dove abbiamo alla fine imparato a non sorprenderci di nulla”
(JC)

“Le preziose poesie del grande narratore argentino, la sua scrittura segreta e sotterranea. Cortàzar, raffinato edificatore di architetture verbali, dove dominano il gioco dell’intelligenza e dell’immaginazione, la trasgressione dei codici, la decontestualizzazione degli oggetti e dei personaggi, è poeta continuamente sospeso fra la ricerca della rottura nell’ordine (del mondo, delle cose, della poesia stessa) e la possibilità della costituzione di un nuovo ordine. Per questo è un rivoluzionario nei contenuti e nel linguaggio poetico, dove la lingua è oggetto di negazioni, spostamenti, violenze, duplicazioni e scambi”.

(Dalla quarta di copertina di Le ragioni della collera, Edizioni Fahrenheit 451, traduzione di Gianni Toti, 1995)

 

A cura di Nazareno Loise

 

Se devo vivere

Se devo vivere senza di te, che sia duro e cruento,
la minestra fredda, le scarpe rotte, o che a metà dell’opulenza
si alzi il secco ramo della tosse, che latra
il tuo nome deformato, le vocali di spuma, e nelle dita
mi si incollino le lenzuola, e niente mi dia pace.
Non imparerò per questo a meglio amarti,
però sloggiato dalla felicità
saprò quanta me ne davi a volte soltanto standomi nei pressi.
Questo voglio capirlo, ma mi inganno:
sarà necessaria la brina dell’architrave
perché colui che si ripari sotto il portale comprenda
la luce della sala da pranzo, le tovaglie di latte, e l’aroma
dl pane che passa la sua mano bruna per la fessura.
Tanto lontano ormai da te
come un occhio dall’altro,
da questa avversità che assumo nascerà adesso
lo sguardo che alla fine ti meriti.

Si he de vivir

Si he de vivir sin ti, que sea duro y cruento,
la sopa fría, los zapatos rotos, o que en mitad de la opulencia
se alce la rama seca de la tos, ladrándome
tu nombre deformado, las vocales de espuma, y en los dedos
se me peguen las sábanas, y nada me dé paz.
No aprenderé por eso a quererte mejor,
pero desalojado de la felicidad
sabré cuánta me dabas con solamente a veces estar cerca.
Esto creo entenderlo, pero me engaño:
hará falta la escarcha del dintel
para que el guarecido en el portal comprenda
la luz del comedor, los manteles de leche, y el aroma
del pan que pasa su morena mano por la hendija.

Tan lejos de ti
como un ojo del otro,
de esta asumida adversidad
nacerá la mirada que por fin te merezca.

Restituzione

Se della tua bocca non so che la tua voce
E dei tuoi seni solo il verde o l’arancione delle tue bluse, come posso avere la presunzione di
avere di te più della grazia di un’ombra che passa sull’acqua.
Nella memoria porto gesti, la moina che tanto felice mi faceva,
e questo modo di restartene in te stessa, con il curvo riposo
di un’immagine d’avorio.
Non è gran cosa questo tutto che mi resta.
In più opinioni, collere, teorie,
nomi di fratelli e sorelle,
l’indirizzo postale e il numero del telefono,
cinque fotografie, un profumo di capelli,
una pressione di mani piccole fra le quali nessuno direbbe
che mi si nasconde il mondo.
Questo tutto me lo porto senza sforzo, perdendolo poco a poco.
Non inventerò l’inutile menzogna della perpetuità,
meglio passare i ponti con le mani
piene di te,
tirando via a piccoli pezzi il mio ricordo.
Dandolo alle colombe, ai fedeli passeri,
che ti mangino fra canti, arruffio e svolazzi.

Restitución

Si de tu boca no sé más que la voz
y de tus senos sólo el verde o el naranja de las blusas,
cómo jactarme de tener de ti
más que la gracia de una sombra que pasa sobre el agua.
En la memoria llevo gestos, el mohín
que tan feliz me hacía, y ese modo
de quedarte en ti misma, con el curvo
reposo de una imagen de marfil.
No es gran cosa ese todo que me queda.
Además opiniones, cóleras, teorías,
nombres de hermanos y de hermanas,
la dirección postal y telefónica,
cinco fotografías, un perfume de pelo,
una presión de manos pequeñitas donde nadie diría
que se me esconde el mundo.
Todo lo llevo sin esfuerzo, perdiéndolo de a poco.
No inventaré la inútil mentira de la perpetuidad,
mejor cruzar los puentes con las manos
ileanas de ti
tirando a pedacitos mi recuerdo,
dándolos a las palomas, a los fieles
gorriones, que te coman
entre cantos y bullas y aleteos.

Il Futuro

E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il “tutto completo” delle sotterranee,
nei libri prestati e nell’arrivederci a domani.

Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
nè ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all’angolo della strada mi fermerò,
a quell’angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
nè qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
nè la fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te.

El Futuro

Y sé muy bien que no estarás.
No estarás en la calle,
en el murmullo que brota de noche
de los postes de alumbrado,
ni en el gesto de elegir el menú,
ni en la sonrisa que alivia
los completos de los subtes,
ni en los libros prestados
ni en el hasta mañana.

No estarás en mis sueños,
en el destino original
de mis palabras,
ni en una cifra telefónica estarás
o en el color de un par de guantes
o una blusa.
Me enojaré amor mío,
sin que sea por ti,
y compraré bombones
pero no para ti,
me pararé en la esquina
a la que no vendrás,
y diré las palabras que se dicen
y comeré las cosas que se comen
y soñaré las cosas que se sueñan
y sé muy bien que no estarás,
ni aquí adentro, la cárcel
donde aún te retengo,
ni allí fuera, este río de calles
y de puentes.
No estarás para nada,
no serás ni recuerdo,
y cuando piense en ti
pensaré un pensamiento
que oscuramente
trata de acordarse de ti.

(Da Le ragioni della collera, Edizioni Fahrenheit 451, traduzione di Gianni Toti, 1995)

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