Trilogia di Dio ed io – Un racconto di Pietropaolo Morrone

Pietropaolo Morrone scrive  storie di realismo grottesco. Tra filosofia, fisica e poesia, il risultato dei suoi testi è un lungo poema di catastrofico ed esilarante dolore universale.
Pietropaolo Morrone ha scritto un romanzo, attualmente è in lettura presso vari editori, di cui parleremo nelle prossime settimane.

La mail alla quale proporre i vostri racconti è: g.canade@biblon.it

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Snow Storm: Steam-Boat off a Harbour’s Mouth, William Turner, 1842

I

E venne il tempo in cui gli uomini smisero di pregare Dio. E Dio pregava gli uomini perché non voleva morire. Solo, figlio del Nulla, nulla Egli stesso. E gli uomini non udivano le sue preghiere. I medici avevano vinto il cancro e gli uomini morivano solo per accidente. Non erano felici ma avevano troppo da fare per udire le sue preghiere, essere operosi, leggere oroscopi, sturare tombini, masticare, urinare, conservare i calcoli renali in bormioli, parlare del meteo, farsi seghe, controllare la prostata, russare, crapulare, mettere acqua di colonia nelle mutande prima di un appuntamento, masticare mentine, fare la fila alle Poste, cacciare quaglie quando le file ai supermercati si fanno noiose, ingoiare chilocalorie e bruciarle in pareggio in affondi, contrazioni, ponti e molleggi; cantare motivetti facili, infilarsi Tampax, stampare cartamoneta, scaldare sedie in uffici ariosi, comprare classici per pareggiare il peso di scaffali, scrivere poesie, ingoiare decotti, tisane, ansiolitici, Xanax.

E venne il tempo in cui Dio smise di pregare gli uomini. Tumulato nel nulla, pozzo nero del Tutto, impotente. E Dio voleva morire, ma per morire serviva un corpo, e allora Dio voleva morire nella follia, ma anche per morire nella follia serviva la materia, neuroni, gangli, cortecce parietali, e invece lui era fatto di nulla.

E venne il tempo in cui gli uomini erano felici. Anche se il cancro era sconfitto, avevano vinto Dio. Avevano capito che potevano morire secondo la loro volontà, a differenza di Dio, in un colpo annullare l’intero universo. E videro che era cosa buona e giusta.

II

Il dolore al cuore esiste. Quello senza cause cliniche.

«Mi duole il cuore». Lo diceva sempre mia nonna. Io, bambino, non capivo come la morte di mio nonno potesse pungerequel vecchio cuore. Ora lo so.

È il vuoto, il vuoto intorno al cuore. Ho studiato fisica, e quando si fa il vuoto da qualche parte, questo vuoto viene riempito dalla materia, come quando si gonfiano i polmoni e l’aria entra da sola per riempire quel vuoto. Così c’è il vuoto intorno al cuore e allora, per questo principio, il cuore cerca di espandersi per riempire il vuoto, cerca di espandersi fino quasi ad esplodere. Ma non ce la fa. Non c’è sufficiente pressione.

Ci sono i dolori, la dilatazione della carne. Ma non si muore di mal di cuore. Il peggiore dei mali. Per questo ho deciso di asportarlo. Il cuore. Ho preso il migliore dei coltelli, ho fatto un taglio preciso. Difficile, per via delle costole. Le ho dovute spaccare, prima. La carne, invece, è tenera. L’ho tirato fuori, l’ho impugnato, il mio cuore, l’ho buttato in padella, senza olio perché ho il colesterolo alto. Ho fatto una bella insalata e ce l’ho affogato dentro. L’ho addentato. Faceva cacare. Troppo veleno. L’alchimia. Questa è la moderna alchimia. Si farà merda. Poveri illusi gli antichi alchimisti. Credevano di mutare il piombo in oro. Siamo tutti alchimisti ma in un senso più moderno, possiamo trasformare le cose solo in merda.

Stacco.
Vado a cacare il mio cuore.

III

Nudo, lucido come le tue labbra ancora dischiuse, incapaci di seccarsi, pure nella solitudine, ma che sanno soffiare tempeste d’altoforno, rotolo giù per la valle infinita, rimbalzo tra sassi, come tamburi in sordina, incastonati dove sanno, spigoli esatti, che ridanno alle ossa una forma più giusta. Annaspo nella zuppa di cielo e di terra. Bave di clorofilla sulla pelle lucida di sudore. Spine di legno fanno buchi troppo piccoli per sfiatare il male. Un pugno di denti che avevo di troppo si fanno semi, saranno sassi un giorno. Le ossa, zucchero a velo nel mio sacco di pelle, si mischiano al sangue e bagnano la crosta della terra. Un trancio di brune budella si fa sciarpa per un sasso troppo nudo. Rotolo sempre più leggero, al tuo soffio e al richiamo della terra, mentre il pendio è sempre più ricco del mio corpo. E alla fine di me non resta che un pensiero, giroscopico grumo inscindibile, sterile, incapace di dipingere sassi aguzzi. Se fosse generoso come il mio corpo… ma è troppo piccolo per morire, troppo grande per vivere. Mi faccio sasso, mi faccio erba, mi faccio terra, divento tutto, ma anche niente.

(c) 2020 Pietropaolo Morrone

Mi chiamo Pietropaolo Morrone. Sono un docente universitario, lavoro nel campo dell’energia presso l’Università della Calabria, sono diplomato al conservatorio in chitarra classica e scrivo. Ho frequentato corsi di scrittura, pubblicato articoli scientifici, racconti in antologie (Memoracconti3, 2014, Memori; La valigia esplosa, 2013, Coessenza; La città invisibile, 2014, Coessenza; Il coccodrillo e la scarpa, Il filorosso), ebook (Il trattamento e altre storie, Teomedia, 2019) e una favola musicale (Il coccodrillo e la scarpa, Il filorosso, 2016) per quartetto d’archi, flauto, clarinetto e voce recitante. Il mio racconto “Un chilo di roba” è stato selezionato per la seconda serata della quinta edizione del concorso letterario 8×8, nel 2013 (casa editrice madrina Elliot). Ho scritto il mio primo romanzo e sono in cerca di un editore che ci creda.

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